Dopo il venerdì nero viene il lunedì, nero. Le premesse per l’attacco a Piazza Affari, che alla vigilia avevano portato il listino milanese a perdere il 3,47%, si sono manifestate con più grande violenza oggi, in una seduta che dopo la prima mezz’ora si è trasformata in un continuo aggiornamento di supporti al ribasso.

L’indice Ftse Mib ha chiuso in calo del 3,96%, al traino contrario delle azioni finanziarie. Scambi in crescita a 3,4 miliardi di euro di controvalore. Ancor più grave il nuovo tonfo per il Btp decennale, che in rapporto al Bund tedesco ha perso 56 punti base in una seduta portandosi attorno al 5,7%, con un differenziale di 301 punti base. In prospettiva, lo smottamento del costo del debito italiano di questi giorni implica una rata per interessi più salata di una decina di miliardi l’anno. Un brutto colpo per i conti del paese, ma anche per la credibilità dell’euro. L’Italia, con 1.843 miliardi di euro di debito pubblico del paese, è un multiplo dei 340 milioni della Grecia; rappresenta il terzo stock di debito al mondo e uno dei primi mercati di emissioni sovrane. L’attacco all’Italia è anche un attacco all’euro, come si è visto da subito negli scambi valutari. La moneta unica, sotto scacco fin dalle prime ore, ha perso dapprima quota 1,42 contro il dollaro, poi sempre più giù fino a 1,4036 (contro 1,4258 di venerdì). I timori per la tenuta della valuta unica si manifestano anche nella forza del franco svizzero, 1,1723 (da 1,1932 venerdì), dopo aver toccato anche un minimo intraday di 1,1669. Dal primo pomeriggio i leader dell’Europa politica si sono riuniti nell’Eurogruppo, ma tutti i segnali distensivi fatti filtrare, dalla telefonata di Angela Merkel a Silvio Berlusconi alla promozione della manovra italiana da parte del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, non hanno che peggiorato l’umore pesto degli operatori. Non esiste la controprova, ma non si può certo dire che le misure adottate dalla Consob per limitare le vendite allo scoperto – imponendo più trasparenza ai ribassisti – abbiano sortito effetti di rilievo. Nelle sale operative si assiste a un coro di ordini in vendita, non soltanto quelli di hedge fund e altri attori speculativi, ma quelli dei fondi pensione, degli investitori istituzionali e degli stessi gruppi finanziari. “E’ l’effetto palla di neve, una spirale di panico che spinge tutti a vendere quando le cose vanno male”, spiega un operatore. L’aumento del rischio percepito sull’Italia e i suoi strumenti finanziari, in sostanza, costringe gli investitori ad alleggerirsi degli stessi titoli, per tenere sotto controllo il rischio dei portafogli. Ma l’effetto è vizioso, perché i movimenti al ribasso ne escono amplificati e generalizzati. Quasi inutile dare un resoconto dei prezzi finali, tanto allineati e nefasti sono i prezzi di chiusura. Guidano il gruppo i titoli delle due maggiori banche Unicredit (-7,74%) e Intesa Sanpaolo (-6,33%), entrambe sospese al ribasso e giunte a cedere il 9% a un’ora dalla chiusura. Le altre banche cedono attorno al 5%. Il settore del credito ha bruciato i guadagni di due anni, tornando ai livelli del marzo 2009, in piena crisi. C’è una sola blue chip, tra le 40 del paniere, che non è tinta di rosso: si tratta di Fondiaria-Sai, ma forse il movimento si spiega con il fatto che la settimana scorsa il titolo aveva perso quasi il 30%. I maggiori ribassi si vedono su Fiat e gli industriali, l’energia, il lusso e le telecomunicazioni. Colpiti, indistintamente, anche i titoli coinvolti nella vicenda del lodo Mondadori, dopo la sentenza di secondo grado che obbliga Fininvest a risarcire 560 milioni di euro a Cir. Il titolo della holding dei De Benedetti ha perso il 7,21% con forti scambi, Mediaset ha segnato un ribasso finale del 3,82%. In calo il gruppo editoriale L’Espresso (-3,37%), controllato da Cir, mentre Mondadori, l’altra controllata di Fininvest, ha ceduto il 4,51%

 

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