La ‘madre di tutte le riforme’ potrebbe tornare alle origini rilanciando le urne come unica strada percorribile in caso di dimissioni o sfiducia del premier, di preferenza meloniana. Salterebbe così la norma ‘anti ribaltone’ (se decade il capo del governo, può essere sostituito da un parlamentare della sua maggioranza) spinta dalla Lega. Oltre a pochi altri correttivi, mirati, che metterebbero al riparo la riforma del premierato da interpretazioni troppo vaghe e dal rischio del referendum abrogativo. Modifiche che avrebbero l’imprinting di FdI e chissà se il pressing rischia di innescare un’altra miccia nel centrodestra. A conferma dell’orientamento, una fonte autorevole del partito di Giorgia Meloni fa notare come in fondo il meccanismo del ‘simul stabunt simul cadent’ era “la prima scelta di FdI”. Citata nella versione originaria del disegno di legge costituzionale firmato dalla ministra Casellati e poi corretta per accogliere la proposta dell’alleato. Ma – secondo il ragionamento della fonte – nel frattempo sembra esser venuto meno, da parte della Lega, l’interesse a difendere quella norma. Bocche cucite dall’ex Carroccio, che a breve si prepara a incassare il primo ok alla riforma-madre per i leghisti, quella dell’autonomia differenziata. Martedì pomeriggio l’aula del Senato dovrebbe votarla. Parallelamente si gioca la partita sul premierato, sempre a Palazzo Madama: la discussione nella commissione Affari costituzionali riprende martedì mattina e sarà a tamburo battente (è all’ordine del giorno delle riunioni delle 14 e poi delle 20, idem il giorno dopo). La road map prevede che entro mercoledì si voti il testo base, mentre il 29 gennaio scade il termine per gli emendamenti. Evidente l’accelerazione che si vuol dare alla riforma, nell’ottica di quello che le opposizioni hanno battezzato ferocemente come il ‘barattellum’, ossia lo scambio in atto tra Lega e FdI su Autonomia ed elezione diretta del premier. E proprio in un gioco di pesi e contrappesi all’interno della coalizione avrebbe senso lo sprint dei meloniani, ora, per l’opzione più tranchant sulla sorte del premier se sfiduciato: ogni governo può avere solo una vita. O al massimo far subentrare un parlamentare solo in caso di morte o impedimento del primo. L’aveva detto chiaramente la premier il 3 novembre: nel giorno dell’approvazione della riforma da parte del Consiglio dei ministri, confessò alla stampa di preferire il ‘piano A’ ma di rimettersi alle scelte del Parlamento, fermo restando che la prima opzione “non troverebbe la mia opposizione”, ribadì. Parole che sarebbero state confermate giorni fa in un vertice ristretto a Palazzo Chigi – oltre alla leader, presenti i sottosegretari alla presidenza, i capigruppo parlamentari e il presidente del Senato – come riferisce il Fatto quotidiano. In ogni caso non è un mistero che FdI stia lavorando a modifiche del testo. All’opera, il meloniano Alberto Balboni incaricato, in qualità di relatore del provvedimento, di mettere per iscritto gli emendamenti. Il patto, nella maggioranza, è che saranno condivisi e con la firma di tutti i capigruppo di centrodestra o solo del relatore. E a metà settimana ci sarà un nuovo confronto, proprio per sottoporre le varianti agli alleati e decidere come andare avanti. Sul tavolo FdI ha messo pure il limite dei due mandati al capo del governo: oggi la legge Casellati parla genericamente di un’elezione diretta per 5 anni ma l’intento è di non superare le due legislature consecutive, che diventano tre in caso di scioglimento anticipato delle Camere. Si valuta anche di specificare che il premier va eletto con il 50% +1 dei voti, mentre è coro quasi unanime che vada tolto il premio di maggioranza del 55% dei seggi rimandando a una legge elettorale ad hoc.

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