Non ci sarà alcuna nuova norma sullo smart working, non tornerà insomma il lavoro agile nelle modalità previste durante la prima fase della pandemia. Le regole restano quelle già fissate dal ministero guidato da Renato Brunetta, che consentono già, alla luce dell’attuale fase dell’emergenza e in base all’andamento dei contagi, di utilizzare maggiormente lo smart working, sia in ambito privato che pubblico. È questo il risultato dell’incontro che si è tenuto oggi pomeriggio tra il premier Mario Draghi e il ministro Brunetta, definito “positivo” da fonti ministeriali: “Si è ragionato sul migliore utilizzo, ai fini del contrasto al picco pandemico, della flessibilità nel ricorso allo smart working già prevista dalle regole vigenti tanto per il lavoro privato quanto per il lavoro pubblico”.
Cosa il il ministero della Pa intenda per “flessibilità” viene spiegato all’interno di 8 domande e risposte che sono state pubblicate sul sito del Dipartimento della Funzione pubblica, che mettono in evidenza le tappe della regolamentazione del lavoro agile, a partire dal Patto governo-sindacati del 10 marzo alle linee guida emanate dopo l’intesa raggiunta in Conferenza Unificata, previo confronto con i sindacati. Nella domanda numero 4 si fa riferimento alla possibilità di programmare il lavoro agile, attraverso una “rotazione del personale settimanale, mensile o plurimensile”, “tenuto conto che la prevalenza del lavoro in presenza contenuta nelle linee guida potrà essere raggiunta anche al termine della programmazione”. Tradotto: in una fase successiva, si potrà recuperare il lavoro in presenza, che potrebbe essere in questo momento sostituito da quello a distanza per motivi sanitari. Viene spiegato che ogni “amministrazione potrà equilibrare lavoro agile e in presenza secondo le modalità organizzative più congeniali alla propria situazione, anche considerando l’andamento epidemiologico nel breve e nel medio periodo”.
L’orientamento del governo insomma è quello di spingere su altre misure anti Covid, come l’allargamento del Super Green Pass a tutti i luoghi di lavoro, come misura per frenare la diffusione della variante Omicron. La strategia insomma è quella di puntare tutto sui vaccini, eliminando per i lavoratori la possibilità di effettuare i tamponi. Il ragionamento fatto dal governo parte dalla considerazione che la maggior parte dei dipendenti pubblici lavora nella scuola, nella sanità, nella difesa e nelle forze di polizia, tutti settori in cui è impossibile ricorrere allo smart working, e in cui è stato già introdotto l’obbligo vaccinale. La restante parte, circa un milione di lavoratori è impiegata soprattutto nei ministeri e nelle amministrazioni locali, ed è già quasi del tutto immunizzata.
Brunetta insomma non intende fare alcun passo indietro, dopo il superamento della fase emergenziale e il rientro negli uffici avvenuto lo scorso 15 ottobre, e non intende cedere alle richieste dei sindacati: “Il lavoro agile di massa non è più giustificato e ci sono tutti gli strumenti, comprensivi di diritti e di tutele per i lavoratori e per gli utenti dei servizi pubblici, che garantiscono ampia flessibilità organizzativa alle singole amministrazioni”, si precisa ancora nella nota del dipartimento della Funzione Pubblica. “Chi sta invocando lo smart working generalizzato nella Pa – si legge – non si accontenta del lavoro agile regolato, strutturato e ampiamente flessibile (…) ma chiede il ritorno alla situazione del lockdown di marzo 2020”. La posizione del ministro forzista non convince però Pd e M5s, che incalzano il governo e chiedono di rivedere le percentuali di smart working nella Pa, tornando a un impiego più ampio del lavoro agile. Lo ha ribadito innanzi tutto il leader del Movimento Giuseppe Conte all’assemblea congiunta dei gruppi questa sera: “Condizione preliminare perché si possano prendere in considerazioni ulteriori restrizioni è che si introduca subito il ricorso allo smart working. È inaccettabile che l’Europa faccia massiccio ricorso a questa misura, e proprio noi che siamo stati i capofila l’abbiamo dismessa in questa fase della pandemia”.
Gli fa eco Vittoria Baldino, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari Costituzionali alla Camera: “Il Movimento 5 Stelle ha sempre ribadito che per arginare i contagi tra gli strumenti più efficaci vi è sicuramente un ricorso massiccio allo smart working, come avviene nel resto d’Europa”.”Non possiamo quindi prendere in considerazione ulteriori restrizioni senza adottare lo smart working nella Pubblica amministrazione, come ribadito anche dal presidente Giuseppe Conte. Non può esserci alcuna ripresa senza la tutela della salute pubblica e lo smart working è riuscito, anche nella fase più acuta della pandemia, a evitare assembramenti nei luoghi di lavoro e sui mezzi pubblici, consentendo allo stesso tempo il prosieguo dei servizi essenziali”. Critiche arrivano anche dall’ex ministra della Pa Fabiana Dadone: “Ho difficoltà a comprendere l’ideologia che contrasta lo Smart working laddove nel lavoro è possibile, così come sarebbe incomprensibile impuntarsi nel non applicare ogni misura utile ad arginare una situazione che non può più ammettere esitazioni”. Anche il Pd pressa l’esecutivo, perché riveda le norme sullo smart working: “Caro ministro Renato Brunetta ho avuto modo di dirlo già in un confronto tra noi e lo ripeto: l’ostinazione ideologica contro lo smart working dei lavoratori pubblici è fuori dal tempo, una grande occasione persa e un errore nella gestione dell’emergenza”, ha scritto su Twitter la deputata del Pd, Marianna Madia, ex ministra della Pa.