È un Pd incerottato quello casertano. Sotto le fasciature ferite sanguinanti. Lunghi rivoli rossi. Lo stesso colore della matita usata dalla commissione nazionale per il congresso per sottolineare le tessere gonfiate come un aerostato. I vertici romani hanno impugnato il martello di Thor per inchiodare 3.700 iscritti irregolari su un totale di 6.800. Sono sopravvissute al bagno di sangue 3.100 tessere. Comunque tante. Troppe. Nell’ultimo tesseramento erano circa 1.500. Il caso Caserta ben presto è diventato uno scandalo nazionale. Giustamente. Eppure in piena bufera la commissione provinciale per il congresso, guidata da Francesco Gatto, legato a doppio filo a Pina Picierno e Stefano Graziano, invece di portare la barca in balia delle onde su un porto sicuro, confermando il taglio di Roma, ha affondato il partito. Ha approvato una platea di 4.994 iscritti. Una follia truffaldina. I circoli dem di Terra di Lavoro sono 5. I tesserati 5mila. Se la politica è un’opinione non lo è la matematica. I conti non tornano. Non serve la calcolatrice dell’iPhone. Basterebbe un pallottoliere per avere la conferma numerica che a Caserta il tesseramento è stato imbottito di sostanze dopanti. Chi ha dato il via libera a 5mila iscritti, a quanto si apprende, avrebbe fatto una scelta utilitaristica: “Provveda Roma a fare i tagli così noi non saremo additati per aver cancellato migliaia di iscrizioni”. Bene, allora nasce una domanda: a che c…osa serve la commissione provinciale per il congresso? I componenti si dovrebbero dimettere in blocco. Gli unici a salvarsi sono Alessandro Tartaglione e Alessandro Landolfi di Articolo Uno. I due sostenitori della mozione di Elly Schlein hanno votato contro la decisione di Gatto e company e hanno presentato ricorso alla commissione nazionale. Che ora si trova a un bivio: o conferma la platea varata dal provinciale o commissaria la commissione casertana. In un caso o nell’altro la frittata è fatta. I dem di Terra di Lavoro ancora una volta hanno dimostrato plasticamente di essere allergici alle regole e alla politica. Mutuando una frase celebre: “Orrore ed errore di un partito che si perde in azioni assurde e senza senso. I militanti sono spettatori di un domani spento”. A spegnere ogni speranza ci ha pensato Gennaro Oliviero. Ha spedito, tramite i suoi giannizzeri, un altro ricorso alle commissioni nazionale, regionale e provinciale. Che pretende? Il disco verde alla platea degli iscritti dem iniziale. Per lui 6.800 tessere sono regolari. Al massimo bisogna tagliare qualche ramoscello. Poche centinaia. “L’assurdità di una cosa non è una ragione contro la sua esistenza, ne è piuttosto una condizione”, direbbe Nietzsche. Gli farebbe eco Schopenhauer: “L’assurdo fa molto facilmente fortuna nel mondo”. Oliviero e i suoi cortigiani vivono da tempo in un mondo ultra-politico. Tessere, tessere, tessere, e ancora tessere. Per agguantare un partito di argilla. Per schiaffeggiare Picierno e Graziano. Per ribadire a tutti: “Il padrone del Pd di Caserta sono io”. Oliviero come il Marchese del Grillo: “Io so io e voi non siete un c…”. Davanti a uno così non resta altro da fare che alzare le mani e dire: “Svaligia il partito”. Napoleone sosteneva che “Non ci sono cattivi reggimenti, ma solo colonnelli incapaci”. Nel caso degli olivierani il colonnello non è all’altezza e le truppe sono talmente scadenti che perderebbero anche a Risiko. Al cospetto di Oliviero e del suo battaglione Martin Luther King esclamerebbe: “Nulla al mondo è più pericoloso di un’ignoranza sincera e una stupidità coscienziosa”. Ignoranza politica e stupidità personale. Una miscela esplosiva. Oliviero e suoi boys sono implosi. Il presidente del consiglio regionale della Campania nell’ultimo ricorso minaccia nuovamente di ricorrere alla magistratura qualora la sua pretesa (confermare 6.800 iscritti) non fosse accolta. Il caso Caserta finirà sulla scrivania di un giudice del Tar. Dalla politica alla giustizia amministrativa. Baratro. Il filosofo ricorderebbe: “Non v’è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l’intervallo”. Il Pd di Caserta è ai titoli di coda. The end.
Mario De Michele