Come il ping pong. Giuseppe Conte batte, Matteo Renzi ribatte. Prima di vedere M5s e Iv insieme nello stesso schieramento ci saranno montagne da spianare. “Non mi fido di Renzi”, ha ripetuto il presidente Cinque Stelle. “Le alleanze non si faranno in base delle antipatie personali”, gli ha risposto per Iv la coordinatrice del partito Raffaella Paita. Sono mesi se non anni che fra le due forze volano gli stracci. Per adesso, la comune volontà di costruire un’alleanza per battere il centrodestra di Giorgia Meloni non sembra sufficiente a superare le differenze. Non solo fra M5s e Iv. Il nodo dei nodi resta la politica estera. Il tema Ucraina divide le forze di opposizione e crea qualche fibrillazione nel Pd, dove le sensibilità sono diverse. La linea dettata da Schlein non sembra in discussione: “Sostegno alla resistenza di Kiev e richiesta di un forte ruolo diplomatico e politico della Ue”. Ma i distinguo fra le varie aree non mancano e, di fronte agli sviluppi del conflitto, aumentano. Per esempio, il senatore Filippo Sensi, dell’ala riformista del partito, ha puntato contro il “no” del ministro degli Esteri Antonio Tajani all’uso sul territorio russo delle armi Italiane. Per Sensi, questa linea “conferma lo smottamento in corso della posizione del governo sull’Ucraina. Nel più totale isolamento europeo”. Con lui c’è il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex parlamentare Pd: le attività ucraine in Russia “sono una forma di legittima difesa” – ha detto – quindi, “se il governo ritiene che sia sbagliato dal punto di vista politico, ne parli con il governo ucraino e gli chieda di non utilizzarle, ma non c’è un problema di tipo Costituzionale”. Non è così per il deputato Arturo Scotto, che fa parte della sinistra Pd: l’uso di armi italiane in Russia sarebbe “per ragioni offensive”, quindi “si andrebbe fuori dal dettato costituzionale e il Parlamento sarebbe scavalcato nella sua volontà”. Anche per Conte, con l’attacco ucraino in territorio russo “non siamo più nella logica della difesa perché contribuisce attivamente all’escalation – ha spiegato in una intervista a La Stampa – L’uso di armi occidentali in territorio russo pone ancora di più il tema del rispetto dell’articolo 11 della Costituzione”. C’è poi l’incursione di Carlo Calenda contro il deputato Pd Graziano Delrio, che ha ribadito la necessità del sostegno alla resistenza ucraina, aggiungendo che “però con Putin bisogna trattare”. Per Calenda è una frenata rispetto alla linea di appoggio a Kiev e nasconde “l’ipocrisia di una resa rinominata trattativa”. Insomma, sul tavolo di coalizione, che dovrà definire i punti del programma di una futura alleanza, ci sarà il groviglio della politica estera. Ma non sarà la prima questione. Perché, nel frattempo, le forze dovranno mettersi d’accordo su chi sarà chiamato a dare le carte, a giocare la parte di federatore. Per il Pd è naturale che sia la segretaria Schlein, forte del 24% delle europee. Conte non lo dà per scontato: “L’avevo detto in tempi non sospetti: non possono essere le Europee a determinare la leadership. C’è tempo per parlarne”.

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