La bufera che gli è piombata addosso, ha provato ad affrontarla così: leggendo ‘Spesso il male di vivere ho incontrato’ di Eugenio Montale e guardando la foto della sua nipotina. Ha detto di voler seguire la strada della indifferenza. Ma Vincenzo De Luca, il giorno dopo aver scatenato una tempesta perfetta per le frasi dette su Rosy Bindi, qualcosa la dice. Anzi, più di qualcosa. Se la prende con “i farabutti, dai quali ti devi guardare mentre butti il sangue per fare il dovere di uomo libero”. E mette in chiaro che no, “non ci sono riusciti a creare sconquasso nel periodo referendario”. Anzi hanno fatto un piacere, e pure grosso, ai sostenitori del sì visto che hanno spostato verso tale fronte “centinaia di migliaia di voti”. Ma, soprattutto, chiede scusa: “É del tutto evidente che le mie parole, presentate così come sono state presentate, erano obiettivamente inaccettabili e obbligavano a chiedere scusa. Cosa che ho fatto e che faccio”. Tra ‘prove di pace’ e critiche, continua la polemica che De Luca ha creato dopo aver detto, nel corso di un fuori onda raccolto dalla trasmissione Matrix, che la Bindi, quando alle regionali del 2015 lo ha inserito nella lista degli impresentabili, “ha fatto una cosa infame, da ucciderla”. Il premier Matteo Renzi torna a parlare dell’accaduto: “De Luca ha detto cose profondamente sbagliate ma non si può associare De Luca alla mafia. La frase su Bindi è indifendibile ma lui è campione della lotta alla mafia e alla camorra nel suo territorio”. Ma neanche il tempo di archiviare una polemica, che ne è iniziata un’altra. Il Fatto Quotidiano racconta di un incontro, da un lato De Luca, dall’altro 300 amministratori locali. In mezzo, secondo il giornale, un invito, di De Luca, a votare sì, il 4 dicembre ‘così Renzi invierà un fiume di soldi’. Pronta l’accusa, da parte del centrodestra come di Sinistra Italiana, per il governatore della Campania: clientelismo. E così se Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, spera che chieda scusa alla Bindi, Pier Luigi Bersani ne ‘approfitta’ per chiamare in causa il Pd (“Sono cose strabilianti, d’altronde in questo partito ormai c’è un po’ di tutto”), e il centrodestra punta il dito sulla logica dei due pesi e delle due misure, De Luca ascolta, legge e in qualche modo prende tempo. “Parlerò dopo il 4 dicembre, anzi il 5 dicembre – dice – allora non mancherò di dire una mia parola caritatevole a tutti quelli che hanno espresso opinioni, addirittura pensieri profondi come qualche carica istituzionale che ci ha illuminato di immenso per la profondità di pensiero”. Ma intanto zitto non sta. L’espressione vai a morire ammazzato? Cita chi l’ha spesso usata, da Sordi a De Sica. “Voi pensavate a Baglioni come ad un uomo romantico, perfino delicato che guardava le magliette trasparenti. Ha fatto una canzone dal titolo vai a morire ammazzato – ironizza – che noi non pensavamo fosse di carico ideologico, ma che il camorrologo di corte e di salotto definirebbe messaggio carico di violenza”. Il leader dei disgustati, come lui stesso si definisce, dice come al solito la sua. Il tutto mentre si apre l’altro fronte della bagarre. Franco Alfieri, sindaco di Agropoli, era tra i 300 amministratori che ha ascoltato De Luca nell’incontro sul referendum. Bolla tutto come “battute”: altro che clientelismo, “de Luca ironizzava”. Ma qualcuno, invece, lo ha preso sul serio, a destra come a sinistra. Se infatti la Lega Lombarda non ci sta al fiume di soldi per il Sud, Alfredo D’Attorre si rivolge a Renzi: “Cosa ne pensa del fatto che il principale sostenitore del Si in Campania e nel Mezzogiorno sia un personaggio mostra questa concezione della politica e delle istituzioni?”.