Menomale. Il mancato versamento di 27mila euro di Bucalossi da parte di Eugenio Di Santo e della sua famiglia approda sulla scrivania della procura regionale della Corte dei Conti. Grazie a Campania Notizie (non tacciateci di autocelebrazione) i documenti accantonati in un cassetto dell’Utc del Comune di Sant’Arpino sono venuti a galla. E, dopo aver istruito l’iter burocratico, il segretario dell’ente ha inviato un corposo fascicolo ai magistrati contabili. Chi rischia grosso è Lucio Donnarumma. Nei confronti dell’allora responsabile del settore è stato avviato un procedimento che potrebbe concludersi con la sospensione dal servizio. Dall’attività di indagine infatti potrebbero emergere colpe a lui riconducibili in relazione ai termini della prescrizione scattata perché all’epoca non furono adottati atti interruttivi.

L’allora sindaco Di Santo, assieme ai suoi parenti, non ha versato gli oneri di urbanizzazione (una parte della Bucalossi) per un permesso di costruire, il n. 36, rilasciato al padre Francesco Di Santo nel 2001. La licenza prevedeva la realizzazione di “18 unità abitative e di un capannone”. L’importo mai versato ammonta alla bellezza di oltre 27mila euro. Purtroppo l’ingente somma non potrà essere incassata dal Comune. In 10 anni e con Di Santo sindaco dal 2008 al 2013 non ci sono stati atti interruttivi della prescrizione. Una vicenda che in qualsiasi paese normale sarebbe inverosimile. Eppure le cose sono andate esattamente come denunciato lo scorso marzo dalla nostra testata. Chiunque si chiederà come sia stato possibile che durante il suo mandato di sindaco Di Santo non sapesse che per quel permesso di costruire non erano stati pagati gli oneri di urbanizzazione. Lo sapeva, eccome. E avrebbe quindi potuto provvedere per conto suo al pagamento della Bucalossi senza nemmeno aspettare gli uffici. Anzi avrebbe dovuto sollecitare i funzionari per accelerare l’iter e mettere le carte a posto quanto prima. Di Santo invece è ricorso all’arma della prescrizione.

Ricostruiamo il fattaccio. Sulla base di un decreto sindacale il responsabile dell’area tecnica Pietro D’Angelo il 16 gennaio 2018 ingiunge il pagamento di 27.213 euro agli eredi di Francesco Di Santo. Nel marzo dello stesso anno l’ex sindaco e la sua famiglia presentano un’istanza in autotutela chiedendo l’annullamento del provvedimento in quanto “decorsi più di 10 anni e in mancanza di validi atti interruttivi il credito è prescritto”. Sulla scorta delle controdeduzioni di Di Santo e dei suoi parenti l’11 aprile del 2018 il responsabile Lucio Donnarumma conferma che il Comune non può più incassare la somma perché è scattata la prescrizione. Il 20 aprile dello stesso anno il funzionario adotta una determina con cui annulla l’ingiunzione di pagamento. Risultato? Eugenio Di Santo e i suoi parenti hanno risparmiato oltre 27mila euro.

Una vicenda politicamente scandalosa che oltrepassa il segno del decoro quasi come quella giudiziaria di cui l’ex primo cittadino è stato protagonista con la condanna per tentata induzione alla corruzione (braccialetto tennis). Con un pedigree così chiunque farebbe mille passi indietro e si farebbe in disparte a vita. Ma Di Santo ha la faccia di bronzo. Nei giorni scorsi ha annunciato con entusiasmo di aver ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di sorveglianza di Napoli come se gli fosse stato conferito un premio alla legalità. La sfacciataggine dell’ex primo cittadino santarpinese non ha limiti. “Da oggi – ha dichiarato – sono candidabile e al momento opportuno deciderò se ricandidarmi”. È uno scherzo? Se l’amministrazione comunale finisse di nuovo nelle mani di Di Santo sarebbe come affidare un Centro di salute mentale a un paziente appena uscito dal manicomio. Cose da pazzi.

Mario De Michele

 

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