di Nicola del Piano
30.824 illeciti ambientali accertati, 9,3 miliardi di euro di fatturato, 2 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi sequestrati, 26.500 nuovi immobili abusivi stimati, 290 i clan coinvolti. Sono questi alcuni dei numeri del rapporto Ecomafia 2011 stilato dall’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente. Una mappa dell’illegalità ambientale che non riguarda solo il sud Italia, ma al contrario rileva numeri forse impensabili nel ricco nord ovest e in Lombardia, dove la percentuale dei reati ambientali tocca il 12%. Ad alimentare quello che il responsabile dell’Osservatorio Enrico Fontana ha definito un “virus” non è l’uomo nero armato di kalashnikov, ma il professionista competente ed esperto che pone le sue capacità al servizio del sistema criminale e camorristico. Vere e proprie strutture organizzate in mano alla criminalità ed un sistema assai complesso che prevede, tra l’altro, le declassificazioni dei rifiuti pericolosi, attraverso operazioni burocratiche che falsificano la documentazione cartacea, rendendoli diversi da ciò che in realtà sono od anche attraverso vari passaggi che fanno risultare falsamente operazioni di trattamento dei rifiuti in realtà inesistenti. Questa pratica, in particolare, richiede appunto un’organizzazione composta da varie figure professionali di alto profilo, sia tecnico che operativo, oltre a soggetti di vertice in condizioni di curare i rapporti con i produttori dei rifiuti e gli utilizzatori finali. Ma le diverse facce del reato ambientale brillano anche nello scarico degli oli esausti in mare da parte delle navi e nell’inquietante ricorso alle spedizioni all’estero di rifiuti pericolosi, principalmente materiali ferrosi, carta da macero, gomma (pneumatici), politilene (teloni agricoli trattati in serra con fitofarmaci e antiparassitari spediti in Cina e restituiti in Europa sotto forma di prodotti in plastica come giocattoli, biberon, utensili ecc.). Una rete capillare, dunque, fatta di società e che si propaga e si rafforza grazie alla sua pervasività in diverse parti della comunità civile. Intanto, il 16 agosto scorso è entrato in vigore un D.lgs. a lungo atteso, il 121/2011 che attua le Direttive europee sulla tutela penale dell’ambiente. La norma ha esteso alle persone giuridiche, quindi anche alle imprese, la responsabilità per i reati previsti dal D.lgs. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) come la gestione dei rifiuti non autorizzata, gli scarichi industriali, il traffico illecito di rifiuti e l’inquinamento causato dalle navi. Tra le nuove figure di reato compaiono inoltre i danni ad animali e piante protette e quelli agli habitat situati all’interno di siti tutelati. Tra le pene previste il decreto contempla non solo sanzioni pecuniarie, ma anche misure interdittive. Per certi versi, tali provvedimenti non sono da considerare sufficienti e a tratti risultano essere addirittura risibili a fronte della strada ancora da percorrere e che attualmente è molto più lunga dei 1.117 km che occuperebbero, in camion incolonnati, le 2 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrate soltanto nel 2010. Occorre, insomma, da un lato che il governo ed il Parlamento agiscano in maniera decisa e lo facciano in fretta nei confronti di un reato che più di ogni altro incide sul futuro dell’uomo e dall’altro che coloro i quali prestano la propria “professionalità” al servizio della criminalità organizzata volgano maggiormente lo sguardo verso i propri figli ed i propri nipoti.