di Nicola del Piano Il Natale, la festa degli abbracci e dei baci troppo distratti per essere veri, si presenta nelle vite degli uomini a celebrarne la solitudine più autentica. Il valore perduto della ricorrenza rinasce in alcuni luoghi dove l’uomo è portato, spesso costretto, a ripensare a sé stesso, a quel che è stato e alla sua vita passata. Sono giorni che possono segnare l’animo umano per sempre ovvero lasciarlo ancora una volta nella sua indifferenza.

 

Il Natale dei familiari dei ventotto detenuti morti nel 2013, per cause ancora da accertare nelle carceri italiane, sarà diverso da tutti gli altri. Ed in quella notte di regali per lo più inutili, il pensiero di chi crede nello Stato e di chi ha consapevolezza dei valori su cui esso si fonda, non può non andare, con un certo imbarazzo, a Nobila Scafuro, madre di Federico Perna, e a tutti i parenti di quei morti in carcere.

 

Quei corpi martoriati, e che le famiglie, spesso, scelgono di mostrare attraverso foto ed immagini, urlano contro quello Stato che è chiamato a punire, rieducando, colui che incorre in un reato. Ma, ad essere in discussione non è la struttura fondante del nostro Paese, che trova nella Carta costituzionale la sua più alta espressione e che, all’articolo 27 comma 3, sancisce un principio che potremmo definire di “umanità”. Piuttosto, è l’applicazione pratica di tali valori a subire delle derive che, a tratti, sembrano appartenere ad altri sistemi, molto meno democratici di quello italiano.

L’8 novembre scorso, pochi giorni dopo il quarto anniversario dalla morte di Stefano Cucchi, un altro detenuto di nome Federico Perna, in circostanze tutt’ora sconosciute, è morto in carcere. Federico non era certo uno stinco di santo e sarebbe uscito dal carcere solo nel 2018; era, inoltre, tossicodipendente, gravemente malato e soffriva di disturbi psichici. Le foto scattate dopo la morte al povero corpo, mostrano un uomo pieno di lividi e sangue fuoriuscito da più parti.

Dinanzi questa drammatica vicenda, un primo aspetto da considerare riguarda il nostro Sistema penale. Difatti, seppur innegabile appare la complessità che pervade il quadro detentivo che caratterizza alcuni criminali, è, tuttavia, certo che il nostro Ordinamento giuridico, attraverso alcune oscenità  penalistiche come la legge del 21 febbraio 2006 n. 49 (la cd. Giovanardi – Fini), continua a etichettare il tossicodipendente come delinquente tout court e non nel suo stato complessivo e comprensivo di patologie mediche da curare.

Un ulteriore, e non meno importante, elemento da rilevare, riguarda tutti coloro che sono chiamati a servire la Cosa pubblica. Se da lato, infatti, vi sono autentici servitori dello Stato, consapevoli del proprio ruolo e della propria missione, dall’altro, la storia d’Italia è costellata di quelle “mele marce” che di tanto in tanto fanno sentire la loro puzza e che potrebbero aver ridotto in quelle condizioni Federico Perna, così come Stefano Cucchi quattro anni or sono e tanti altri come loro.

Accanto, dunque, ai tanti che servono ogni giorno lo Stato, vi sono singoli che di quello Stato si servono, rendendolo carta straccia e ferendolo pesantemente nei suoi punti vitali.

E allora, sembrerebbe che, per certi aspetti ed in alcuni settori, le mele marce sono più di quelle sane; sembrerebbe, insomma, che ad essere marcio è parte del sistema carcerario italiano che, come una macchina impazzita, confonde un pluriomicida con un rapinatore e lascia morire i suoi detenuti tra le sue stesse mura.

Dall’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, leggiamo che nel 2013, 99 sono stati i detenuti morti in carcere e, di questi, 47 (23 non italiani) si sono suicidati e 28, appunto, sono morti per cause da accertare.

Se, dunque, il grado di civiltà e democraticità di una nazione si vede anche dal suo sistema carcerario, il nostro va politicamente ripensato, con progettualità e coscienza, senza mai distaccare lo sguardo dalla Costituzione e da quell’articolo 27 che, al comma terzo, così recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

In un Natale divenuto diverso per sempre, quei ventotto Cristi chiedono il nostro rispetto e giustizia da parte dello Stato. Una giustizia degna di un paese democratico per le famiglie Perna, Cucchi, Aldrovandi, Lonzi, Uva, e tante altre e per tutte le famiglie dei veri servitori dello Stato.

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