di Ginorossi
«Ci identificavamo con il jazz perché a quei tempi il jazz mostrava l’eccellenza di un popolo che era stato schiavizzato e discriminato. Dizzy e Miles non erano amati dall’establishment occidentale. Erano gente nera che non si faceva raccontare balle. Louis Armstrong, Billie Holiday e Count Basie rappresentavano il trionfo sull’oppressione». (Hugh Masekela)
Come si fa a non amare un artista così! L’ho sentito per la prima volta da un amico audiofilo, che possiede un impianto hi-end da favola…e ne sono stato preso sin dal primo ascolto. Ho pensato che forse era l’impianto che rendeva i brani così belli, coinvolgenti, pieni di ritmo e di feeling. Fattone una copia, l’ho riascoltato a casa con il mio impiantino e con sorpresa scopro che la musica di Masekela mi coinvolge con la stessa intensità ed emozione del superimpianto! Ho deciso così di recensire l’album per far conoscere questo grande musicista e per condividere il piacere della sua musica.
Le origini di Hugh Masekela sono umili e la sua storia è simile a quella di tanti altri neri sudafricani. Fin da bambino inizia a suonare il pianoforte imparando il jazz dai dischi dei grandi musicisti americani ma, dopo aver visto un film sulla vita di un trombettista statunitense, decide di dedicarsi alla tromba. Passa cioè a uno strumento totalmente diverso. La prima tromba gli è donata dal prete della sua chiesa che poi lo presenta al maestro della banda municipale di Johannesburg. Masekela impara a suonarla rapidamente e quindi forma un gruppo musicale con cui inizia a fare jazz.
Il successo non tarda ad arrivare, riceve ben presto offerte da musicisti affermati tanto che è chiamato a far parte di una famosa band dell’epoca “Manhattan Brothers” che porta in giro il noto musical “King Kong”, nel cui cast compare una giovane cantante, Miriam Makeba, che in seguito diventerà sua moglie. Dopo il successo di “King Kong” Hugh fonda un nuovo gruppo jazz, incide il primo LP che porta in giro, conseguendo un notevole successo nei concerti. Intanto nel 1960 la situazione politica in Sudafrica si fa molto pesante, la schiavitù e la miseria dei neri portano a eventi sanguinosi, di conseguenza inizia a inasprirsi il regime dell’apartheid, per cui il giovane Masekela è costretto ad espatriare negli Stati Uniti.
Lì fa la conoscenza di Luis Armstrong, che gli regala una tromba per la sua bravura, di Henry Belafonte, di Dizzie Gillespie e di Miles Davis, in concreto il gotha del jazz. In questi anni incide dischi e fa concerti. A seguito della separazione con Makeba si trasferisce a Los Angeles, dove inizia una serie di collaborazioni con i Byrds e Bob Marley. Dopo la grande avventura americana decide di tornare in Africa e con artisti del calibro di Fela Kuti (altro grande musicista sudafricano) e Herb Alpert compone molti brani di successo fra i quali “Stimela” (The Coal Train) che è uno dei classici di Masekela e di cui parlerò in seguito. Ormai famosissimo inizia a fondere il proprio stile musicale di estrazione jazzistica con elementi della musica etnica del Sudafrica quella dei Zulu, Xhosa, Tswana ed altre etnie.
Nel 1986 si trasferisce in Inghilterra e inizia una campagna a favore della scarcerazione di Nelson Mandela con un brano di grande successo “Bring Him Back Home”, che diventa l’inno della campagna “Free Mandela”. Partecipa poi al magnifico album di Paul Simon “Graceland”. Dopo la caduta dell’apartheid e la conseguente scarcerazione di Mandela rientra in Sudafrica dove inizia liberamente la sua attività di musicista. Masekela è uno dei più grandi artisti africani di fama internazionale che con la sua musica ha contribuito a far conoscere la condizione dei neri sudafricani. Ha inciso decine di dischi che riesce difficile elencare, l’ultimo di questi è “Phola” del 2008.
L’album oggetto della recensione “Hope” – registrato dal vivo al Blues Alley a Washington nel 1993 – è eccezionale per l’alto livello musicale di tutti i brani. Nel disco si alternano brani cantati “Abangoma”, che apre l’album, il citato “Mandela (Bring Him Back Home)”, “Lady”, “Languta”, ”Market Place”, la travolgente “HA LE SE (The Dovry Song)” e l’emozionante “Stimela (The Coal Train)”; le strumentali “Uptownship” , “Grazin In The Grass”, “Until When“,“Nomali”, “Ntyilo Ntyilo (The Love Bird)”. “Stimela” è uno dei classici del grande musicista sudafricano, una canzone dedicata ai lavoratori delle miniere di Johannesburg. Eseguito con un ritmo ora lento ora travolgente, parlato, cantato, urlato, vi si trova tutto il bagaglio musicale e la rabbia dell’artista. Nei dieci minuti dell’interpretazione di Hugh si comprende anche senza conoscere l’inglese tutta la drammaticità del testo: la denuncia che con il lavoro spesso va in scena il più violento dei fenomeni delle società industriali, lo sfruttamento.
La musica è di un’attualità impressionante. Dall’album si avverte a pelle che questi musicisti hanno qualcosa in cui credere oltre alla musica che eseguono. E se mi è permessa una riflessione, questo è anche il motivo della grandezza della musica degli anni settanta, impregnata di passioni e di speranze. Oggi purtroppo la musica, con qualche eccezione, è un “business” teso principalmente alla ricerca di un’originalità forzata, mai spontanea. Alla musica di Masekela si sono rifatti molti artisti contemporanei cercando di rubacchiare qualche ritmo ammiccante o qualche nuova sonorità.
Occorre invece ricordare Paul Simon, Peter Gabriel e il nostro piccolo grande Enzo Avitabile, che hanno con largo anticipo avuto il coraggio di cambiare la loro musica contaminandola con quella della cultura sudafricana, creando di fatto, senza proclami, un nuovo genere musicale. Altro che il “nuovo genere musicale” strombazzato da Mike Jagger con Superheavy! Tornando all’album c’è da aggiungere che è un vero e proprio festival di jazz, funky, soul, blues, rap che si aggiunge alla musica delle etnie sudafricane che esprime grande energia e ritmi trascinanti. La voce di Masekela spazia su tutto l’arco del pentagramma ora dolce, ora roca, ora potente e drammatica.
Il suono della sua tromba per qualità, timbrica ed esecuzione degli staccati può essere paragonata senza alcun dubbio a quella dell’indimenticato Luis Armstrong. Un album imperdibile che sfortunatamente è molto difficile da trovare nei negozi, tranne a volerlo acquistare sui siti internet. Una nota finale: per chi desidera leggere la traduzione il testo “Stimela” può trovarlo su FB nel gruppo Ultrasuoni.
Artista: Hugh Masekela
Titolo: Hope
Genere: Jazz
Style: Afro-Cuban Jazz
Anno: 2003
Etichetta: Triloka Records
Tracklist
1. Abangoma (The Healers)
2. Uptownship
3. Mandela (Bring Him Back Home)
4. Grazin’ In The Grass
5. Lady
6. Until When
7. Languta
8. Nomali
9. Market Place
10. Ntyilo Ntyilo (The Love Bird)
11. Ha Le Se (The Dowry Song)
12. Stimela (The Coal Train)