E’ il 15 agosto del 1987 al Parking del Nuovo Porto di Nizza. In programma c’è un “gala” di pugilato di quelli che contano. Angelo Musone da Rimini è in viaggio in auto verso Saint-Tropez. L’autista ha un attimo di esitazione, la macchina fa una serie di testacoda prima di fermarsi in prossimità di un guard rail di un viadotto. Il campione di Marcianise è scosso, scende dall’auto e guarda giù, il salto nel vuoto sarebbe stato notevole. Non si perde d’animo, come ha sempre fatto nella sua vita, rincuora l’autista e ripartono. Ha un incontro importante che lo attende. Non tanto per il valore dell’avversario, un tal Steve Mormino dal palmares non esaltante: 12 incontri, undici sconfitte e due pareggi. Qualche anno prima ai punti era stato battuto anche da Angelo Rottoli, campione bergamasco e pugile di grande eleganza. Ma l’americano ha il pugno che puo’ far male, metà delle sue vittorie sono arrivate prima del limite. Ma anche Angelo Musone ha il pungo che fa male, e la mano pesante sa averla anche nei confronti di boxer dal valore assoluto come Leon Spinks, l’ex campione mondiale dei pesi massimi e ‘giustiziere’ di una leggenda: quel Cassius Clay, o se si preferisce Muhammad Alì, ritenuto da molti il miglior pugile di ogni tempo. Spinks non resiste molto ai pungi di un Musone sempre più lanciato nell’olimpo della boxe, finisce ko al settimo round. E Musone sa che un posto nella leggenda è adesso a portata di pugno, e sa che dei suoi pugni puo’ fidarsi. Arriva a Saint-Tropez, tappa intermedia prima di Nizza, dove all’indomani lo attende Mormino, nell’ambito di un cartello che vede tra i protagonisti un altro immortale del pugilato: Evander Holyfield: 15 vittorie, 10 per ko, nessuna sconfitta. Affronterà il detentore della corona mondiale Wba/Ibf dei Cruiser, categoria tra i mediomassimi e i massimi leggeri, il portoricano Ossie Ocasio. Ilk palcoscenico è di quelli che contano, anche se per Musone non c’è niente in palio. Ed ha atteso sette mesi, sette mesi di duro allenamento (forse troppi), prima di poter risalire sul ring. Ancora una volta, però, il destino mette il bastone tra le ruote al campione della Excelsior Boxe: per un frainteso clamoroso non risulta prenotata nessuna stanza. Ci si mette alla ricerca ma il cammino è lungo e difficoltoso: Musone sul letto di una camera d’albergo ci arriva alle cinque del mattino. Ciò nonostante il giorno dopo sul ring tutto sembra girare che è una meraviglia: stile, velocità, potenza sono quelle di un campione vero. Fino alla sesta ripresa. Poi, complice forse la stanchezza e la tensione accumulata, c’è un attimo di disattenzione. Un attimo, uno solo. Ma come sanno quelli che di boxe se ne intendono, nel pugilato un attimo puo’ significare tutto. Un colpo d’incontro e finisce lì. Nel palmares di Mormino questa su Musone viene evidenziata come, di gran lunga, la vittoria più importante. Ma il guerriero di Marcianise medita ‘vendetta’, giura a se stesso che la prossima volta sarà molto diverso. Ha solo 24 anni del resto, ed è apprezzato in tutto il mondo. Ma chi muove mi fili dell’esistenza umana aveva deciso che sarebbe dovuta finire lì. Quel campione dal fisico portentoso ha un rene soltanto. Nessuno se ne era mai accorto prima, e nonostante tutto, incidente Mormino a parte, nessuno era mai riuscito a batterlo. Nemmeno quel Tillman, Henry Tillman, che nel 1984 gli aveva ‘derubato’ la finale olimpica, per poi vincere l’oro. E a Musone era andata solo una medaglia di bronzo. Che quando arriva ti consegna alla storia, ma in quella circostanza nemmeno la storia poteva bastare a ripagare un campione per quanto gli era stato vergognosamente sottratto. Nessuno aveva avuto il benché minimo dubbio su chi fosse il vincitore. Nemmeno i giudici che assegnarono la vittoria a Musone per 3 a 2. Ma quell’anno gli statunitensi si inventarono un Giurì che avrebbe dovuto confermare i verdetti. Ed ecco servito lo scandalo: 5 a 0 a favore del pugile di casa. E chissà se Musone conserva ancora la prima pagina del Corriere dello Sport, con la foto dell’arbitro che alza il braccio sinistro di Tillman, mentre lui porta le mani al volto, con alle spalle il pubblico in piedi. Sì, in piedi, per contestare duramente quella insopportabile ingiustizia, nonostante fosse stato un pugile di casa ad essere favorito. Tra le amarezze di Angelo Musone di sicuro restano lo scippo subito a Los Angeles il 7 agosto del 1984, la notte insonne che quel match del 15 agosto del 1987 condizionò molto, la scoperta del problema fisico che a 24 anni appena lo costrinse a cambiare strada. Però caspita, nonostante tutto che impronta profonda ha lasciato nel mondo della boxe. E, citando una canzone, nel profondo del cuore di noi, ragazzi di una volta. (foto Excelsior Boxe)

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