“Nullità della sentenza per abnormità del decreto di giudizio immediato”. È questo il fulcro del ricorso presentato In Cassazione da Eugenio Di Santo contro la condanna irrogata dal Tribunale Napoli Nord lo scorso 19 maggio. Il sindaco di Sant’Arpino ha patteggiato un anno e sei mesi, con pena sospesa, per tentata concussione ai danni del titolare della ditta che gestiva il servizio di refezione scolastica. Ma secondo il suo legale Giuseppe Stellato la sentenza è nulla per la modifica della “qualificazione giuridica del fatto”. Dopo gli arresti domiciliari disposti dal Tribunale, su richiesta del pm, il 18 dicembre 2013, il difensore del sindaco presentò istanza di scarcerazione al Riesame, che confermò la misura cautelare ma derubricò il reato a tentata concussione per induzione e non per costrizione, come invece aveva chiesto l’accusa. Nel marzo scorso il Gip ha disposto il rito immediato. E questo è il principale punto contestato dall’avvocato Stellato. “La modifica in ordine alla qualificazione del fatto – si legge nel ricorso depositato in Cassazione – non consentiva l’accesso al giudizio immediato, il cui presupposto è per un verso l’evidenza della prova e, per l’altro, l’interrogatorio dell’indagato/imputato in ordine al fatto oggetto di contestazione”. Secondo il suo legale, Di Santo non è stato messo nelle condizioni di esercitare il suo diritto a difendersi dalle accuse, in quanto “in sede di interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere”, ma – si evidenzia nel ricorso – in quel momento storico era accusato di tentata concussione per costrizione. Con la mutazione dell’ipotesi di reato (induzione) la decisione di procedere con il rito immediato “viola la legge oltre che essere affetta da abnormità”. Il difensore del sindaco di Sant’Arpino insiste su questo punto: “Risulta inammissibile una richiesta di giudizio immediato per omesso interrogatorio in relazione al fatto per il quale la persona sottoposta alle indagini si trovi in custodia cautelare al momento della richiesta stessa, essendo anche in tale caso necessario l’espletamento dell’interrogatorio sul fatto”.
Insomma, per l’avvocato Stellato non ci sono dubbi: il decreto che ha disposto il rito immediato è nullo. “Il mancato espletamento dell’interrogatorio – si legge nel ricorso – per un verso elide il necessario contraddittorio preventivo, per l’altro, determina accesso al rito immediato senza i necessari e indispensabili presupposti”. Per suffragare le sue tesi difensive, Stellato, che dimostra ancora una volta di essere un vero principe del Foro, fa notare ai giudici della Suprema Corte che non a caso il pubblico ministero in un primo momento ha optato per il rito ordinario ma in seguito “per preoccupazione per una possibile decorrenza dei termini di custodia cautelare si realizzava una deviazione rispetto alla prima electa via per comprimere termini e posizione difensive in nome di una immediata definizione del processo”. “Il che – recita un altro passo del ricorso – evidenzia un ulteriore aspetto di abnormità del provvedimento emesso dal Gip in adesione ad una errata scelta del pm”. C’è poco da dire: il ricorso di Stellato è un capolavoro giuridico. Resta irrisolto però il problema politico. Di Santo ha tutto il diritto di far valere le proprie ragioni in sede giudiziaria (anche se gli audio delle intercettazioni lasciano pochi dubbi). Ma non può, come invece ha fatto, rimanere al suo posto come se nulla fosse accaduto. E’ accusato, con prove schiaccianti, di un reato grave per chi ricopre ruoli istituzionali: aver pressato Francesco Mottola, titolare della “Marty Srl”, ditta che si era aggiudicato l’appalto per la mensa dell’Istituto scolastico comprensivo, affinché gli venisse regalato un braccialetto di diamanti dal valore di due-tremila euro o pagata una tangente di pari importo. Avrebbe dovuto fare immediatamente un passo indietro. Non l’ha fatto. E politicamente va condannato. Con rito immediato.
Mario De Michele