di Mario De Michele
Uno, nessuno e centomila. A Franco Mirabelli i panni di Gegè Moscarda, protagonista del celebre romanzo di Pirandello, calzerebbero a pennello. Il commissario provinciale del Pd sta mostrando una molteplicità di volti e, per restare sul piano dell’autore agrigentino, una “disgregazione dell’io” inaspettate per un politico tutto d’un pezzo così com’era stato dipinto al suo arrivo in Terra di Lavoro da quel di Milano. Il Mirabelli visto all’opera finora non convince. Per nulla. Lui, strenuo fautore delle primarie (Milano docet), a Caserta ha detto sì al voto a malincuore dopo aver battuto tutte le strade per candidare a sindaco “un’alta personalità” della società civile. Ha cercato per giorni come Diogene senza trovare nessuno disponibile a mettersi in gioco. E quindi ha lanciato le primarie di coalizione come extrema ratio mettendo sotto al tappeto i problemi politici sollevati da una parte del circolo, in primis dall’area Capacchione, sua collega nella commissione parlamentare Antimafia. A Marcianise ha fatto di peggio. Qui non ha dovuto girare a vuoto a caccia di “un’alta personalità”. Già c’era. Si era autoproposta. Da tempo. Prima sottobanco (le avvisaglie si sono avute a novembre). Poi, di recente, a viso aperto: “Sono disponibile a candidarmi a sindaco di Marcianise”. Si tratta di Antonello Velardi, caporedattore de “Il Mattino”, che lo scorso autunno, quando è scoppiato il caso Mastursi, ha pigiato i suoi preziosi polpastrelli (scrive pochino) sulla tastiera del suo computer per firmare un pezzo assolutorio come una sentenza a favore di Vincenzo De Luca. Una difesa d’ufficio. Che sol senno di poi si potrebbe interpretare con le categorie della politica. Per caso Velardi già allora lavorava per incassare il sostegno del governatore, avendo già in tasca il lasciapassare dei vertici regionali e nazionali dell’Area Dem? Andreotti avrebbe detto: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Noi non apparteniamo alla folta schiera di chi sostiene che il sospetto sia l’anticamera della verità. Ma nella vicenda marcianisana non bisogna ricorrere alla dietrologia. Basta limitarsi ad osservare la realtà e analizzare gli ultimi sviluppi per ricomporre un quadro “indiziario” chiaro. A Caserta, volente o nolente, Mirabelli dà il via libera alle primarie. Pochi minuti dopo invece le stoppa a Marcianise. E in queste ore si sta dando da fare in Parlamento per presentare una proposta tesa a regolamentare per legge le primarie. Per dirla con Agatha Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Insomma, nel caso Marcianise Mirabelli sta adempiendo ad un mandato ben preciso: indicare un candidato sindaco imposto dall’alto. Velardi, appunto. Ha quindi ragione Dario Abbate a impuntarsi. A chiedere il rispetto delle regole. A insistere con la richiesta di primarie. E a candidarsi lui stesso. Certo anche lui ha delle grosse responsabilità politiche, come tutto il gruppo dirigente locale. Il sentiero delle primarie si sarebbe dovuto tracciare già nei mesi scorsi. Rimettere assieme ora tutte le anime del circolo è un’impresa disperata. Però bisogna provarci. E le primarie appaiono come l’unica strada non solo per sperare in una tregua tra le fazioni dem in guerra ma anche per mettere in piedi un’ampia e vincente coalizione di centrosinistra. E soprattutto per dimostrare che il Pd è un partito democratico non solo a parole. Velardi ha dato la disponibilità a candidarsi a sindaco di Marcianise? Bene. Partecipi alle primarie. In caso di vittoria sarebbe legittimato a correre per la fascia tricolore. Funziona così. Mirabelli lo sa meglio di noi. Ma da quando ha fatto tappa in Terra di Lavoro sembra un altro. Assomiglia sempre più a Gegè Moscarda.