Sembra caduto nel vuoto il richiamo del presidente della Repubblica che solo cinque giorni fa aveva inviato una lettera ai presidenti delle Camere per bloccare la pioggia di emendamenti che affogavano il cosiddetto milleproroghe. Incuranti del monito, i deputati hanno infatti preso d’assalto con circa 1500 emendamenti il decreto sulle semplificazioni. Un numero esorbitante di proposte di modifica che dovranno comunque passare al setaccio dell’ ammissibilita’. Si tratta di un numero di emendamenti in linea con quanto accadde per le liberalizzazioni (in commissione al Senato ci furono 2.400 proposte di modifica) e con la manovra ‘salva-Italia’ (1.300 in commissione alla Camera).

Tutto questo nonostante – come ha sottolineato il relatore del provvedimento, Oriano Giovanelli del Pd – ci sia stato il tentativo di ”fare uno sforzo rigoroso da parte dei gruppi per rispettare le sentenze della Corte Costituzionale e il richiamo del presidente Napolitano”. Intanto il governo, abituato ai blitz emendativi dei parlamentari, ha reagito con fair play, senza allarmismi (anche perche’ si puo’ sempre fare affidamento sull’ effetto-ghigliottina prodotto dal ricorso alla fiducia). ”Vedremo tutti gli emendamenti ammissibili e li valuteremo nel merito”, si e’ infatti limitato a rispondere il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi. D’altra parte nella trappola emendativa e’ caduto lo stesso premier che proprio all’indomani del richiamo del presidente della Repubblica, ha messo a punto con i suoi una proposta di modifica al decreto sulle liberalizzazioni per inserire nel provvedimento la cosiddetta Ici per la Chiesa. Ma in nome di quel garbo istituzionale che lo contraddistingue, Mario Monti e’ prima salito al Colle proprio per spiegare a Napolitano la ‘ratio’ di quell’emendamento. Troppo spesso accade che a ispirare ai parlamentari correzioni o integrazioni ai provvedimenti all’esame delle Camere, siano dei suggeritori esterni i cosiddetti lobbisti che quasi premono alle porte delle commissioni parlamentari. Una presenza ingombrante quella dei gruppi di interesse, talmente invadente da aver fatto perdere le staffe al presidente del Senato, Renato Schifani che gli ha dichiarato guerra. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e’ stata la folla di lobbisti assiepata nei giorni scorsi davanti alla commissione Industria per il decreto sulle liberalizzazioni. Schifani ha detto ‘basta’ a quella azione di ‘disturbo” e si e’ attivato per ingabbiare quegli indisciplinati. ”Il collegio dei questori – ha annunciato oggi Schifani con un sospiro di sollievo – ha ricevuto il mandato di individuare momenti e percorsi dell’attivita’ in Senato dei lobbisti che fanno il loro lavoro ma non possono intralciare l’attivita’ parlamentare”.

 

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