Si apre un nuovo fronte nell’inchiesta che i magistrati di San Isidro stanno conducendo sulla morte di Diego Armando Maradona, avvenuta il 25 novembre. Riguarda i tre medici indagati per omicidio colposo – il neurochirurgo Leopoldo Luque, la psichiatra Agustina Cosachov e lo psicologo Carlos Daniel Diaz – e stavolta nel mirino non ci sono le modalità di cura del campione, ma i conti correnti dei tre professionisti. I magistrati vogliono capire se nei mesi precedenti alla morte di Maradona vi erano state della transazioni particolari, non soltanto relative ai compensi concordati con l’entourage di Diego (l’avvocato Matias Morla che era di fatto il suo amministratore). Il sospetto, non confermato dalle fonti della Procura di San Isidro, è che siano state versate somme di denaro per attestazioni non conformi alle cure effettivamente prestate all’ex capitano della Seleccion argentina campione del mondo ’86 e del Napoli due volte campione d’Italia. Insomma, altri sospetti. E stavolta non soltanto sulle pratiche effettuate (o non effettuate) nell’appartamento di Tigre dove il campione sarebbe poi deceduto, a 22 giorni dall’intervento alla testa. Ovviamente questo è un aspetto secondario rispetto al cuore dell’inchiesta e cioè le cure prestate (o non prestate) a Maradona negli ultimi mesi. Le testimonianze, in particolare di due figlie di Diego, hanno evidenziato un progressivo aggravamento delle condizioni di salute del Pibe dopo il suo rientro in Argentina, al termine dell’esperienza in Messico come allenatore dei Dorados di Sinaloa. E questo perché l’ex campione andava avanti con un micidiale cocktail di psicofarmaci, alcol e marijuana anche contro il parere formale di quello che era di fatto il suo medico curante, il neurochirurgo Luque.
Proprio i numerosi rilievi dei periti del dottor Luque hanno fatto allungare i tempi per la conclusione dei lavori della commissione medica incaricata dai magistrati di verificare le cure prestate a Diego. La posizione del neurochirurgo è evidentemente la più delicata, se non la più compromessa. Molte cose non tornano nei suoi comportamenti, a cominciare dalle dichiarazioni alla stampa dopo l’operazione alla testa a cui Maradona venne sottoposto presso la clinica Olivos il 3 novembre: Luque disse di averla effettuata lui e invece non era vero. Peraltro i periti di Luque hanno smentito con decisione che l’ex campione fosse cardiopatico. Ma le perplessità dei magistrati e dei componenti della commissione medica sono più che legittime a fronte della documentazione presentata dall’istituto Sacro Cuore: nel 2004, infatti, venne riscontrata al 44enne Maradona una miocardiopatia dilatata con lesioni da micro infarti. E il suo ex medico, il cardiologo Cahe, ha dichiarato ai magistrati e ai media che da oltre vent’anni il cuore di Diego funzionava al 30 per cento. Sabato 28 marzo i membri della commissione, che ha iniziato gli studi lunedì 8 marzo e potrebbe concluderli entro metà aprile, hanno esaminato il video dell’autopsia del corpo di Diego per ulteriori approfondimenti. Il decesso, secondo il referto, è avvenuto a seguito di un edema polmonare acuto, associato alla riacutizzazione di un’insufficienza cardiaca cronica. Ma dietro a queste parole ci sono probabilmente anche giorni, mesi, anni di cure sbagliate e fatali.