A Roma. A Milano. A Sondrio e a Lamezia Terme. A Modena e a Verona. In tutta Italia nelle ultime settimane sono apparsi dei manifesti tre metri per cinque, apparentemente innocui, ma che invece sembrano raccontare una storia più grande e complessa, che non a caso ha messo in allerta i nostri servizi di sicurezza: «La Russia non è un nemico», si legge sui poster, con due mani, una avvolta con un tricolore italiano, l’altra dipinta con i toni della bandiera russa. E due didascalie: «La Russia non è nostra nemica». E «Basta soldi per le armi a Ucraina e Israele. Vogliamo la Pace e ripudiamo la guerra». Ma si tratta davvero di messaggi pacifisti o invece dietro c’è altro? E’ un’iniziativa politica o invece un tentativo di influenzare il nostro dibattito interno da parte di uno stato straniero? Insomma: è una normale schermaglia o un atto di guerra ibrida? È la domanda che si sono posti in queste ore i nostri servizi di intelligence. E anche la politica, tanto che Enrico Borghi, il senatore di Italia Viva e influente membro del Copasir, insieme con il collega Ivan Scalfarotto hanno presentato un’interrogazione parlamentare per capirci di più sulla storia dei manifesti. «Attualmente nella città di Roma sono stati segnalati almeno una ventina di manifesti affissi da oltre due settimane e almeno cinque vele motorizzate che girano la città: secondo esperti del settori l’ammontare di una campagna pubblicitaria di simili dimensioni è pari a un costo tra i 30.000 euro e i 50.000 euro, di fatto una cifra significativa che merita approfondite indagini volte a verificare se non via sia un sostegno economico da parte di soggetti o enti esteri».
Ma chi c’è dietro? Il sito Linkiesta, come è raccontato nell’interrogazione, ha fatto il nome dell’ex consigliere municipale 5 Stelle Domenico Agliotti, da sempre molto vicino a Virginia Raggi che risulta tra i responsabili a Roma. Repubblica è oggi in grado di ricostruire che in realtà dietro c’è una rete di persone – molti dei quali vicini ai movimenti no vax e sovranisti – che sta presentando la documentazione in tutta Italia. «Si tratta – spiega proprio Agliotti – di centinaia di cittadini che hanno aderito all’iniziativa versando una piccola quota volontaria a titolo personale». C’è chi ha messo 10 euro, chi cinque, numeri molto diversi rispetto alla campagna che si sta organizzando. «Ma non è vero che si parla di 50mila euro, sono molti meno». Sarà: certo è che la campagna sembra troppo organizzata per arrivare da gruppetto di cittadini organizzati. È il sospetto che hanno anche Borghi e Scalfarotto che infatti hanno chiesto l’intervento direttamente del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per «verificare che dietro l’affissione dei manifesti non vi sia il finanziamento da parte di soggetti esteri, con l’ intento di infiltrarsi e destabilizzare il nostro sistema democratico con attacchi di natura ibrida contro la sicurezza nazionale: chiediamo verifiche per accertare – si legge nell’interrogazione – quali siano i soggetti che hanno pianificato, ordinato, coordinato e finanziato (anche solo indirettamente) stampa e l’affissione dei suddetti manifesti, quali siano le reali motivazioni di tali iniziative, e se vi siano soggetti o organizzazioni stranieri che hanno finanziato l’affissione». Certo è che l’intera rete social che abitualmente rilancia la propaganda russa si è mossa per “La Russia non è nemica” in un momento in cui sembra che si stia rialzando la tensione, in particolare contro i media italiani: dopo che il Cremlino ha formalmente dichiarato “ricercati” l’inviata del Tg1 Stefania Battistini e il collega Simone Traini per essere entrati in Russia con l’esercito ucraino, uno scoop mondiale, ieri la portavoce del ministero degli Esteri, Marija Zakharova, ha pubblicato un post sbeffeggiando i diplomatici italiani e attaccando un altro giornalista italiano, Davide Maria de Luca, che ha pubblicato sul Domani un reportage dalla regione russa di Kursk, embedded con l’esercito ucraino. Uno scoop. Prontamente messo all’indice dal giro degli influencer russi in Italia: è il caso della giornalista russa Asya Emilianova, che vive a Milano, e che sulle sue pagine social mappa lavoro e movimenti dei giornalisti italiani impegnati a raccontare quanto accade sul fronte ucraino.