Lo chiamano “Max”, ha 52 anni, fa l’investigatore privato. E collabora con la Equalize, l’agenzia delle spie. Il suo compito è stilare dossier e poiché per i pm era «pienamente a conoscenza» delle attività del gruppo, essendo uno dei protagonisti, ora è ai domiciliari. Al settimo piano del Palazzo di giustizia di Milano, ieri mattina, aspetta in silenzio il suo turno per l’interrogatorio davanti al gip. Massimiliano Camponovo entra col suo avvocato, si avvale della facoltà di non rispondere, rilascia poche ma inquietanti dichiarazioni spontanee: «Ho paura per la mia incolumità e per quella della mia famiglia. Ho percepito una mano oscura che gestisce questo sistema e sono rimasto al mio posto: mi passavano i dati, facevo i report». Di quale «mano» parli potrà raccontarlo presto al pm Francesco De Tommasi, visto che si è detto pronto, con il legale Roberto Pezzi, a farsi sentire a breve. Chissà che non vengano fuori altri spunti su cui lavorare, un livello più “alto” dei legami della banda dei dossier. Lecito pensarlo, a giudicare dalle parole di Carmine Gallo, l’ex super poliziotto arrestato, esponente di spicco della presunta associazione a delinquere che, intercettato, rivelava «di essere stato amico anche di Marco Mancini e che insieme a Giuliano Tavaroli erano tutti e tre nei Servizi». Arriva dal giudice poco prima delle 9,30, a testa alta per non apparire «affranto» davanti alle telecamere, come gli suggerisce chi sta con lui. Nessun interrogatorio ma poche dichiarazioni: «Sono un servitore dello Stato», in polizia «ho lavorato per quarant’anni. Parlerò ai pm per dimostrare la mia innocenza, ho sempre rispettato l’autorità giudiziaria e sono pronto a collaborare», il senso delle sue parole. Ai cronisti che lo aspettano risponde soltanto: «È la vita». I suoi legali Antonia Augimeri e Paolo Simonetti assicurano che parlerà dopo aver letto tutti gli atti. E pensare che tutta l’inchiesta sarebbe partita da un suo passo falso dettato dal suo «senso di impunità»: l’incontro, nel 2022, con «un soggetto legato alla criminalità organizzata lombarda», in un bar vicino piazza Fontana.
Parla, e tanto, il poliziotto sospeso del commissariato di Rho, Marco Malerba. Del suo amico Gallo dice: «Era il mio capo, non sono riuscito a dire di no». Ma è lui che procura informazioni riservate interrogando banche dati. E ammette «gli accessi abusivi nell’ambito di un rapporto di scambio di favori». Come un contributo per pagare delle spese legali che deve affrontare o l’arruolamento del figlio proprio negli uffici della Equalize. Samuele Calamucci, il geometra diventato hacker, per ora tace ma minimizza: «Dal punto di vista empirico, le cose che ho letto sugli organi di stampa sono impossibili da realizzare». «Chiarirò tutto quello che potrò. Voglio tagliare con ambienti che non mi riguardano», giura con le lacrime agli occhi Giulio Cornelli, 38 anni, per tutti “Jhon Bologna”, difeso da Giovani Tarquini. Promette di chiarire anche Giuliano Schiano, il militare della Gdf sospeso per gli accessi abusivi in favore della banda (avvocati Floriana De Donno e Giuseppe Talò).
Banda che ha realizzato dossier mediante «esfiltrazione» di dati su quasi 800 «soggetti» accertati. Alcuni degli spiati partono alla carica e scrivono in procura attraverso i loro avvocati in quanto parti offese, pronte a farsi valere. Tra loro Claudio Del Vecchio, vittima di un falso report ad opera del fratello Leonardo Maria: quest’ultimo avrebbe pagato 50 mila euro per i servizi richiesti, nell’ambito di un’operazione che gli indagati chiamavano «piombo fuso» e avrebbe dovuto vedere la collaborazione di «israeliani». Sullo sfondo, la guerra ereditaria in Luxottica. L’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, intanto, definisce «destituite di fondamento» le notizie sul fatto che i servizi digitali possano essere stati compromessi dalla rete di spionaggio e i «personaggio coinvolti non hanno ami avuto alcun ruolo» con l’Agenzia.