Da giorni gli analisti cercano di capire quale sia stata la portata dell’attacco israeliano contro l’Iran di nove giorni fa. Oltre alle immagini satellitari di radar e postazioni contraeree spazzate via, un’altra foto ha acceso un dibattito: mostra un’unica cisterna cilindrica distrutta con precisione chirurgica tra le decine che formano il deposito di petrolio della raffineria di Abadan, non lontano dal Golfo. L’impressione è che si tratti di un colpo d’avvertimento per Teheran: “Abbiamo centrato un serbatoio che sapevamo essere vuoto; la prossima volta li cancelleremo tutti e provocheremo un inferno”. In questo momento Israele e Stati Uniti stanno esercitando una pressione senza precedenti per dissuadere gli ayatollah dal lanciare un altro raid contro lo Stato ebraico. Il timore è che la teocrazia voglia tentare un’azione di forza per risollevare la sua credibilità frantumata da mesi di incursioni israeliane ai danni dell’intera galassia armata sciita, con omicidi mirati messi a segno da Beirut fino alla stessa Teheran. Una ritorsione che potrebbe scattare a cavallo del voto americano, anche per trasmettere un messaggio al nuovo inquilino della Casa Bianca.
Per impedire questa ennesima escalation, è stata iniziata una colossale operazione di deterrenza. Lo dimostra soprattutto lo schieramento record deciso dal Pentagono in Medio Oriente: ieri sono arrivati in Qatar due bombardieri B52 carichi di missili cruise; altri incrociatori stanno facendo rotta verso il Mediterraneo; uno squadrone di F16 specializzati nelle missioni “wild weasel” – donnola selvaggia – per scardinare le batterie contraeree si è trasferito dalla Germania; gli F15 Eagle si sono fatti fotografare con le ali affollate di ordigni al confine tra Giordania e Iraq. Proprio l’Iraq è al centro delle tensioni e delle attenzioni. Le parole della Guida Suprema Khamenei assieme ai segnali raccolti dell’intelligence fanno ipotizzare un ruolo chiave delle milizie sciite irachene in un’eventuale offensiva. Non è chiaro quanto ciò sia dettato dalla volontà politica di tenere il territorio iraniano fuori dalla mischia e quanto invece dalla necessità tecnica di utilizzare missili balistici con un raggio d’azione inferiore: armi che verrebbero trasferite in Iraq nell’imminenza del blitz e permetterebbero un’ondata di ordigni ancora più numerosa di quella dello scorso 1 ottobre.È uno scenario allarmante.
I Guardiani della Rivoluzione e i loro alleati potrebbero ripetere la tattica della notte del 13 aprile, scagliando simultaneamente missili balistici, cruise e droni da più Paesi. Ma gli obiettivi potrebbero non limitarsi più alle basi militari isolate: c’è il rischio che facciano fuoco contro i centri abitati, cercando un effetto terroristico. Nell’ultimo assalto, almeno trenta missili iraniani hanno superato le barriere, esplodendo però all’interno di aeroporti senza causare gravi danni. Ognuno trasporta 250 chili di tritolo: se fossero precipitati sulle case, ci sarebbe stata una strage. Non a caso, lo scudo antimissile è stato irrobustito con una batteria Thaad mandata dagli americani, che si aggiunge ai sistemi SM6 imbarcati sui cacciatorpediniere dell’Us Navy e integra gli Arrow e i David’s Sling (Fionda di Davide) israeliani. Nessuno sa di quanti ordigni dispongano ancora i pasdaran ma potrebbero essere molti, soprattutto se anche i più vecchi missili balistici derivati dagli Scud sovietici verranno messi in condizione di partire dall’Iraq.
Secondo la sua tradizione bellica, Israele non si limita a irrobustire le difese ma minaccia una risposta micidiale. Due giorni fa ha annunciato di avere creato un’unità dell’intelligence e una dell’aeronautica incaricate di pianificare una “ritorsione continua” contro l’Iran. Sarebbe una rappresaglia in tempo reale. Le squadriglie con la Stella di Davide decollerebbero appena avvistata la partenza dei missili iraniani e si dirigerebbero verso raffinerie, centrali elettriche e depositi di petrolio, tutte prive di protezione dopo la distruzione delle batterie russe S300 nell’offensiva di nove giorni fa. Non è escluso che a quel punto anche i laboratori del programma nucleare possano entrare nel mirino: la diplomazia americana ha fatto sapere a Teheran che non sarebbe in grado di frenare le iniziative israeliane. Ognuno di questi scenari comporta un peggioramento drammatico della situazione, di gran lunga superiore alla devastazione vista in Medio Oriente dal 7 ottobre 2023 in poi, perché trasformerebbe il confronto a distanza tra Israele e Iran in una guerra totale.