di Mario De Michele

La nuova “narrazione” dell’Italia, come la chiama lui, si è rivelata, capitolo dopo capitolo, una trama vecchia, un libro già letto. Con un finale scontato e indigesto.

L’ultima “opera” di Nichi Vendola ha disvelato uno scrittore piatto e legato ai soliti schemi narrativi, appunto. Che tradisce la corrente della “new politics”, finora propugnata con un linguaggio innovativo e al contempo aulico, per incunearsi nel filone politico del doroteismo. “Il centrosinistra – ha dichiarato in vendoliano – è il soggetto fondante dell’alternativa e non deve aver paura di portare con sé chi intende arricchire il suo orizzonte se l’agenda ha al centro i diritti sociali e civili. Io non pongo veti a nessuno”.

Tradotto: sono pronto all’alleanza con l’Udc. Un tuffo nel passato del politichese che svuota di significato parole-chiave come “alternativa”, “orizzonte” e “diritti sociali e civili”. Un tuffo nel vuoto. Nel mare monstrum della politica italiana dove tutto e il contrario di tutto sguazzano in “convergenze parallele” che sfidando la geometria si incrociano e stringono in un abbraccio mortale qualsiasi abbozzo di futuro.

La notte hegeliana di Vendola, in cui “tutte le vacche sono grigie”, getta nell’oscurità la fievole speranza di una vera svolta. Un altro mondo non è possibile, ha di fatto sentenziato il leader di Sel. E stavolta il linguaggio bizantino non è bastato a tenere sotto la coltre dell’ipocrisia il bizantinismo politico. A nulla è servito il subitaneo tentativo di salvare l’insalvabile con la goffa e maldestra smentita-rettifica in perfetto stile berlusconiano: spararla grossa per poi dire di essere stati fraintesi da giornalisti in malafede. Tutto come prima, insomma.

E se il gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare nulla”, qui da noi, è sempre in voga non scandalizza neppure più di tanto la ridiscesa in campo del Cavaliere. Nietzsche parlerebbe di “eterno ritorno”. Tra i cittadini invece si rafforza sempre più la convinzione di vivere nell’eterno passato. In quel passato, sempre presente, dove regnano i giochi di palazzo, dove gli opposti si attraggono con l’unico scopo di conquistare nuove e più ghiotte fette di potere, dove gli ideali vengono sacrificati sull’altare della convenienza politica e personale.

Con la sua ultima uscita, il re di Sel è nudo. D’ora in poi i suoi sermoncini cattocomunisti saranno ascoltati da una sparuta schiera di fedeli della sinistra. L’eresiarca Vendola ha tradito quegl’ideali predicati in questi anni sul pulpito di una coerenza di cartapesta. Dov’è finita la “connessione sentimentale” con il popolo di cui si è riempito la bocca?

Non serve farla tanto lunga, basta una rappresentazione plastica per comprendere il significato vero della nuova “narrazione dell’Italia”. Eccoli là, Vendola, Casini e Fini a braccetto in campagna elettorale. Uniti, con il combattivo(?) Bersani, contro Belzebù-Berlusconi. Questo il primo punto del programma: dare al Paese un governo stabile e credibile. E poi il comizio di Casini: “L’unica famiglia riconosciuta dalla Costituzione è quella basata sul matrimonio, in chiesa ovviamente”. A ruota Fini: “Sì alle unioni di fatto, no ai matrimoni tra gay”. In chiusura Vendola: “Sì ai matrimoni tra gay e alle unioni di fatto”. Nel vivo della campagna elettorale si rompe l’ipotesi di alleanza con Storace, che in uno slancio di sincerità si lascia scappare, durante il suo comizio, un laconico: “A froci”.

Ecco i nuovi-vecchi o vecchi-nuovi che avanzano. Ma il prete rosso Vendola non si arrende. E prodigo di consigli, tipico di chi non può dare il buon esempio, mette all’indice il “Tonino nazionale”. “Le continue polemiche e il propagandismo esagerato di Di Pietro rischiano di portarlo alla deriva”.

Se Di Pietro rischia la deriva, Vendola è già annegato nel mare del trasformismo.

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