E’ morto oggi all’eta’ di 108 anni a Debno, nel nordovest della Polonia, Antoni Dobrowolski, il piu’ anziano prigioniero del campo di sterminio nazista di Auschwitz ancora in vita. Dobrowolski era nato in una famiglia polacca a Wolborz, nella Polonia centrale.
Fino all’invasione tedesca della Polonia nel 1939 aveva lavorato come insegnante in una scuola elementare nella vicina localita’ di Rzeczyca. Sotto l’occupazione tedesca Dobrowolski continuo’ clandestinamente a tenere corsi per bambini polacchi, sfidando il divieto categorico degli occupanti nazisti. “A quel tempo si’, avevo paura ma d’altronde si rischiava tutti, e mi rendevo conto che mi avrebbero potuto fermare per strada in qualsiasi momento anche per altre attivita’ che svolgevo da militante dell’Esercito clandestino polacco (Armia Krajowa)”, ha detto Dobrowolski intervistato tre anni fa da un canale tv locale. Nel giugno 1942, scoperto dalla Gestapo, Dobrowolski fu arrestato e portato con gli altri detenuti del carcere di Radom nel campo di sterminio di Auschwitz (Oswiecim, sud della Polonia), dove gli fu inciso sul braccio il numero 38081. Successivamente fu trasferito nel lager tedesco di Gross-Rosen e da li’ a Sachsenhausen, presso Berlino, dove lavoro’ in una fabbrica di armi. Nella primavera del 1945, insieme agli altri prigionieri, Dobrowolski fu liberato dalle forze alleate. Dopo la guerra torno’ in Polonia stabilendosi con la famiglia a Debno, dove e’ stato direttore in una scuola elementare e poi per diversi anni preside di un liceo. Sulla sua terribile esperienza non ha voluto raccontare nulla, nemmeno in famiglia, fino alla meta’ degli anni novanta. ”Quello dell’Olocausto, in casa, era un tema tabu”’, ha raccontato suo figlio Andrzej. Il silenzio e’ stato rotto solo dalla nipote Magdalena Dobrowolska, che dal 2002 vive in Germania, e che nel 2008 ha girato un documentario intitolato “38081”, di ottanta minuti, nel quale il nonno, l’ex prigioniero di Auschwitz, racconta senza ombra di odio le sue memorie degli anni di guerra. “Non si tratta di un documento classico ma della riflessione di un uomo condannato a morte dall’ ideologia criminale, che non cerca i colpevoli e non e’ ossessionato dalla sete di vendetta”, ha detto del film un suo ex allievo, ora professore di filologia, Jerzy Swidzinski. Il film fu presentato con successo nel 2008 al Centro internazionale di cultura a Berlino. Per suo figlio, il film parla non solo della morte, della fame e del dolore ma sopratutto della capacita’ di perdonare. Le lettere di Dobrowolski da Auschwitz, gli altri documenti e le sue fotografie insieme con la sua casacca a righe bianco e nere, l’uniforme caratteristica dei prigionieri hitleriani con la quale Dobrowolski arrivo’ a Debno, sono stati esposti in una mostra nel museo di quella citta’. Nel campo di sterminio di Auschwitz, divenuto il simbolo dell’Olocausto, sono stati uccisi oltre un milione di ebrei. Nel famigerato lager nazista morirono anche piu’ di 70 mila polacchi non ebrei, 21 mila Rom, 15 mila prigionieri sovietici e altre migliaia di prigionieri della resistenza al nazismo.