Viaggia lontano dall’Europa, pur in crisi, il palmares del Festival di Berlino che sceglie i mondi altri, a partire dalla cinica Romania dell’Orso d’oro Child’s pose del giovane regista Calin Peter Netzer, fino alla prigione iraniana di Jafar Panahi, passando attraverso il vivissimo Cile di Gloria e l’incanto del piccolo capolavoro di Danis Tanovic, che come da previsioni non poteva mancare di vincere un premio.
Se tutti si aspettavano anche il premio a Panahi – che vince l’Orso d’argento per la sceneggiatura -, e che il governo tedesco avrebbe tanto voluto a Berlino e invece ha lasciato ancora una volta una sedia vuota, condannato com’é dal regime iraniano alla non creatività, è una sorpresa il premio maggiore al romeno Netzer. Del resto quella della giuria del festival appare come una scelta nel segno dei toni forti e Child’s pose è senza dubbio un cazzotto nello stomaco. Racconta di un rapporto limite madre-figlio: Cornelia è una madre possessiva e ambiziosa ma tutto il suo mondo crolla quando, una sera, alla guida di un’auto costosa, suo figlio investe e uccide un ragazzino di un quartiere povero.
Ma è solo lo spunto che serve a Calin Peter Netzer per raccontare le profonde fratture che attraversano la società romena di oggi, tra sessantenni arricchiti e i loro figli smarriti. Cinquantenni inoltrati sono anche i protagonisti di ‘Gloria’, film cileno di Sebastian Leilo in cui amore, sesso e voglia di vivere sono anche più forti quando si è avanti con l’età. Premiata la straordinaria protagonista del film, Paulina Garcia come migliore attrice: 58enne separata, nonostante abbia l’affetto di figli e nipoti, Gloria vive le sue storie con un candore infantile.
Ma al centro del film è anche Caracas, città piena di umanità che ospita un locale dove gli ‘anta’ vanno a ballare e a incontrarsi. Doppio riconoscimento – Gran Prix della giuria e premio al migliore attore, il bosniaco Nazif Mujic – per il piccolo grande film del bosniaco Danis Tanovic, che era in cima a tutti i pronostici. Si intitola “Un episodio nella vita di un cacciatore di ferraglia”, è costato meno di 100.000 dollari, dura poco più di 70 minuti ed è interpretato da attori non professionisti: un piccolo miracolo nel segno del neorealismo moderno, frutto di un bagno d’umiltà e di un ritorno alla libertà creativa da parte di un regista che aveva vinto l’Oscar nel 2002 con ‘No Man’s Land’.
Come nelle favole la salvezza arriverà dalla scassata macchina del marito di Sanada: facendola a pezzi e vendendo la ferraglia a peso, salteranno fuori i soldi per le cure. Infine il dolore straniante di ‘Closed Curtain’ del regista Jafar Panahi e Kambuzia Partovi. Un lungometraggio girato in tutta segretezza, e nel segno della melanconia e depressione, nella casa sul mare del regista condannato dal regime iraniano alla non creatività. E dove si racconta, in forma di più che evidente metafora, la sua prigionia.
“Non è un film contro il regime – ha detto più volte il co-regista Partovi unico a rappresentare a Berlino il lungometraggio insieme all’attrice Maryam Moghadam -. E’ un film piuttosto che racconta l’unica storia che si poteva raccontare. Per un regista è difficile non lavorare e Panahi era molto eccitato di questo progetto e opportunità”. Il governo tedesco si è appellato alle autorità iraniane affinché fosse rilasciato al regista Jafar Panahi il visto necessario per la premiere del suo film, in Germania, ma non è stato possibile e come a Venezia, come a Cannes al posto del regista iraniano anche questa sera c’é una sedia vuota.
La regia di Berlino non ha dimenticato tra i mondi lontani anche l’America e l’Orso d’argento per la regia è andato a David Gordon Green, che ha diretto il film ‘Prince avalanche’, con Paul Rudd e Emile Hirsch. Mentre il film di Gus Van Sant, ‘Promised Land’, con Matt Damon, ha ottenuto una delle due menzioni speciali date oggi dalla giuria della Berlinale. Un riconoscimento analogo è andato a ‘Layla Fourie” della sudafricana Pia Marais.