di Antonio Martucci
Accade in Italia. Una classe politica allo sbando, incapace di riformare il Paese che non riesce a trovare la sintesi neanche per un candidato al Quirinale. Accade che i leader dei principali partiti siano costretti a recarsi dall’ottantottenne Presidente, ormai a fine mandato, per chiedergli di restare fino al compimento del 95esimo anno d’età a dirimere controversie e zuffe da cortile.
Napolitano, invece di cacciarli dal Quirinale, come Cristo i mercanti dal tempio, decide di ritirare la propria indisponibilità e accetta di ridiventare il Presidente degli italiani. Questa è una decisione ritenuta, dal mondo intero, uno straordinario atto d’amore verso il popolo sovrano. Noi non ci sentiamo voluti bene. Ci saremmo aspettati ben altri comportamenti per dimostrare il grande amore.
Napolitano più volte si è appellato a questa classe politica per portarla alla ragionevolezza, al senso delle istituzioni, alla inderogabilità dell’avvio di un processo di riforme Le risposte all’appello della mattina di sabato 20 aprile 2013, data storica per la Repubblica Italiana, potevano essere soltanto due: o tornare in conclave e dimostrare al Paese che quella che siede in Parlamento è una classe dirigente ancora in grado di garantire un futuro all’Italia, eleggendo il nostro Francesco, oppure far dichiarare pubblicamente che si è in presenza della nuova repubblica di tipo presidenziale e non più parlamentare e che il primo atto dopo l’elezione del Presidente non poteva che essere l’approvazione della riforma istituzionale.
Invece, lunedì 22 aprile, nel discorso d’insediamento, il neo-rinominato Presidente, nel fare una dura accusa per il comportamento della politica, arrivando a sostenere che se vedrà ancora esasperati atteggiamenti tatticistici o difese di posizioni oltranziste, Lui ne trarrà le conseguenze, è scattato un applauso di alcuni minuti da parte di tutta l’Aula. Un riconoscimento alla giustezza delle sue tesi? Un’ autoaccusa? Forse un applauso liberatorio di scansato pericolo, un’assoluzione, invocata e ottenuta.
L’amore e il martirio, quindi, dovevano trovare sublime sintesi di fronte a quell’indegno applauso con una modifica, in diretta, dell’intervento: “Capisco il senso politico di questo applauso e amo troppo il mio Paese. Tra il futuro degli italiani e Voi parlamentari, scelgo gli italiani. Perciò, sciolgo le camere”.
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