L’indagine sul figlio di Ignazio La Russa, accusato da una ventiduenne di violenza sessuale, è un’altra tegola sul governo in una situazione di alta tensione sui temi della giustizia. Anche se nell’Esecutivo è considerata “un’altra cosa” rispetto all’inchiesta che riguarda la ministra Daniela Santanchè e all’imputazione coatta del sottosegretario Andrea Delmastro. Ma per Giorgia Meloni è pur sempre una complicazione ulteriore. Dietro i silenzi ufficiali dell’intera maggioranza su questa denuncia di violenza sessuale, circola la ricostruzione secondo cui alla premier non siano piaciuti i toni delle prime dichiarazioni del presidente del Senato, con la “certezza” sull’innocenza del ragazzo e i “molti interrogativi” sulla denuncia presentata 40 giorni dopo. Parole seguite da una precisazione nel giro di tre ore. Ma ormai l’opposizione aveva quanto basta per scatenare una serie di duri attacchi. Per la segretaria dem Elly Schlein, “è disgustoso sentire dalla seconda carica dello Stato parole che ancora una volta vogliono minare la credibilità delle donne che denunciano una violenza sessuale a seconda di quanto tempo ci mettono, o sull’eventuale assunzione di alcol o droghe, come se questo facesse presumere automaticamente il loro consenso”. È “vergognoso” secondo Angelo Bonelli (Avs) che La Russa, “interroghi il proprio figlio e lo scagioni: nulla di penalmente rilevante”. Mentre Azione si tira fuori “dalla rissa sui casi giudiziari”. Meloni, dice chi le sta vicino, è “serena, sicura che la riforma della giustizia non si fermerà”. Intanto, come capitato in altri venerdì, ha trascorso la giornata lontano da Palazzo Chigi. E non è un caso, osserva qualche ben informato nella maggioranza. La vicenda del figlio di La Russa ha tratti in comune con quella del figlio di Beppe Grillo. In quella occasione la premier, che allora era all’opposizione, fu cauta ma criticò il fondatore del M5s per un video in cui a suo dire minimizzava un tema pesante come quello della presunta violenza sessuale. Ad ogni modo, questa vicenda non viene accostata ai casi Santanchè e Delmastro. Quelli sono vissuti nel governo come tentativi di ostacolare la riforma della Giustizia, di fronte ai quali Meloni e il ministro Carlo Nordio intendono reagire accelerando. Da qui, all’indomani della dura reazione ufficiosa di Palazzo Chigi, con il sospetto che “una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione”, c’è stata l’altrettanto decisa presa di posizione del ministero della Giustizia. Secondo fonti di via Arenula, “l’imputazione coatta” nei confronti di qualunque indagato, non solo Delmastro, “dimostra l’irrazionalità del nostro sistema” ed è “irragionevole”. Quindi “è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio”, è la conclusione, accompagnata – e qui il riferimento è al caso Santanchè – dallo “sconcerto e dal disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato”. Per il ministero è “urgente la riforma dell’iscrizione nel registro indagati e dell’informazione garanzia”, novità previste dal disegno di legge Nordio varato dal Consiglio dei ministri il 15 giugno. Dopo essere stato bollinato dalla Ragioneria di Stato, il ddl è in attesa dell’autorizzazione per essere presentato al Parlamento, e deve darla il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che in questo delicato momento politico si trova in missione in Sudamerica. Capo dello Stato che – secondo i ragionamenti che si fanno in ambienti parlamentari di maggioranza e opposizione – starebbe seguendo con una certa irritazione le vicende romane. Anche se fonti del Colle interpellate al riguardo precisano che non c’e’ nessuna reazione del presidente perchè è all’estero e non ha confidato a nessuno – come è suo costume -giudizi od opinioni su questioni di cronaca italiana. L’esame del ddl Nordio inizierà in Senato e nella maggioranza si aspetta con una certa attesa questo momento.Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, si appella alle opposizioni, perché “bisogna rendersi conto che le interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull’attività della politica riguardano tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni hanno colpito tutti i governi”. A inizio settimana prossima Meloni è attesa da tre giorni di impegni internazionali, e la sua speranza è che non siano turbati da problemi interni. Salvo nuovi clamorosi sviluppi, non avrà effetti drastici sul governo Meloni il caso Santanchè. La bufera passerà, è il ragionamento che si fa nei corridoi di Palazzo Chigi, dove anche il calcolo costi-benefici spinge a pensare che un passo indietro della ministra sarebbe un segnale di debolezza. Aprirebbe una non facile trattativa con gli alleati per la sostituzione, e creerebbe un precedente pericoloso. Quindi, è un’altra osservazione ricorrente nel governo, chi parla di una moral suasion del Quirinale lo fa per avvelenare i pozzi.