l blind trust che gestisce le aziende di Luigi Bugnaro durante la sua carica di sindaco “è inefficace”, perché “è evidente come Brugnaro non abbia in realtà dismesso la propria partecipazione” alle società. Il fondo cieco, inoltre, è in mano ai “fedelissimi” del sindaco, ovvero alti funzionari del Comune “persone che svolgono tuttora l’incarico di amministratori del reticolato di società” del primo cittadino. Sono alcune delle accuse che la Procura di Venezia – si legge nelle carte di richiesta delle misure dei Pm – rivolge a Brugnaro. “Un sistematico perseguimento di interessi personali” scrivono nelle 940 pagine i magistrati. Fin dall’inizio dell’indagine della Procura veneziana sul Comune di Venezia sarebbe emerso “un contesto amministrativo improntato a un’illegittimità diffusa” soprattutto nei settore urbanistico, dell’edilizia e delle gare d’appalto. Lo scrivono i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, nelle richieste di misure cautelari relative all’inchiesta sulla presunta corruzione. Ma i pm ravvisano anche una “corruzione ambientale”, con criticità nella struttura amministrativa del Comune, delle partecipate, nella Città Metrpolitana (di cui lo stesso Brugnaro è sindaco, ndr) o strutture regionali come la Commissione Vas o l’Arpav. Cambi di telefono, soffiate (anche da un militare infedele) sulle intercettazioni in corso, sistemi anti-trojan, tecnologie anti-infiltrazione per evitare d’essere ascoltati dagli investigatori. E’ un ‘guardie e ladri’ sul filo della tecnologia, e della perseveranza della Gdf, quello andato in scena a Venezia nei due anni dell’inchiesta per corruzione che ha colpito il Comune. Nella richiesta di misure cautelari firmata dai pm, compare il capitolo “Le difficoltà nell’attività intercettiva”. C’erano funzionari pubblici che avevano chiesto perfino alla società comunale Venis di avere “apparati di ultima generazione non infiltrabili”.

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