A oltre sette anni di distanza dall’omicidio di Chiara Poggi, i giudici di Milano hanno dato un nome al suo assassino e hanno condannato con rito abbreviato l’allora suo fidanzato Alberto Stasi a 16 anni di carcere senza riconoscergli l’aggravante della crudeltà ma nemmeno le attenuanti.
Inoltre hanno disposto un risarcimento di un milione di euro ai genitori e al fratello della giovane donna, uccisa la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco. Si è chiuso così il nuovo processo d’appello ‘bis’ nei confronti dell’ex studente bocconiano che esattamente 5 anni fa, il 17 dicembre 2009, aveva incassato la prima assoluzione confermata due anni dopo in secondo grado e poi cancellata dalla Cassazione. La prima Corte d’Assise d’Appello, due togati (Barbara Bellerio presidente ed Enrico Scarlini a latere) e sei giudici popolari, dopo sette ore di camera di consiglio e un dibattimento dove non sono mancate le polemiche tra difesa e i legali di parte civile, hanno ritenuto Alberto colpevole, anche se è stata in sostanza dimezzata la richiesta dei 30 anni di carcere avanzata dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini. Dallo scarno dispositivo letto nella maxi aula del palazzo di giustizia milanese, dove dallo scorso 9 aprile si sono celebrate le udienze a porte chiuse per via del rito scelto, e che per l’occasione è stata aperta ai giornalisti, si intuiscono alcune cose: non aver contestato l’aggravante della crudeltà non significa non ritenere che l’aggressore di Chiara abbia usato efferatezza mentre sulla mancata concessone delle attenuanti generiche dovrebbe aver pesato, spiegano negli ambienti giudiziari, il comportamento processuale di Stasi con omissioni e silenzi su una serie di elementi chiave per consentire la ricostruzione dei fatti. Si tratta però di ipotesi perchè le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Quel che è certo invece che la Corte è partita dalla pena base di 24 anni e ha ridotto di un terzo, sconto previsto dall’abbreviato, ed è arrivata a 16 anni di carcere. Pena, che ha lasciato “sconvolto” l’ex studente bocconiano che stamattina, prima che i giudici si ritirassero per la decisione, prendendo la parola, ha ribadito: “Non cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente. Sono anni che sono sottoposto a questa pressione. È accaduto a me e non ad altri. Perché? Mi appello alle vostre coscienze: spero che mi assolviate”. Il verdetto di oggi (il quarto), è arrivato dopo che gli ermellini, nell’aprile 2013, hanno annullato la sentenza di assoluzione e rinviato gli atti a Milano a una nuova sezione della Corte d’Assise d’Appello ritenendo che occorresse una “valutazione complessiva e unitaria degli elementi acquisiti” e dunque una rilettura di tutti gli indizi, alcuni dei quali da approfondire con ulteriori accertamenti. Indizi che la Suprema Corte ha anche indicato: si va dalle impronte digitali di Alberto ritrovate sul dispenser del sapone in bagno dove l’assassino si è lavato le mani al fatto che Chiara, quella mattina, ha aperto la porta di casa a una persona che di certo conosceva bene. Dall’assenza di alibi tra le 9.12 alle 9.35, la finestra di 23 minuti in cui è stata collocata la brutale aggressione, al Dna della vittima rintracciato su uno dei pedali della bici bordeaux Umberto-Dei Milano di Alberto. E ancora, dal fatto che, nonostante avesse detto di essere entrato nell’abitazione dei Poggi e di aver scoperto il cadavere, non si fosse macchiato di sangue le suole delle scarpe e l’aver omesso di raccontare agli inquirenti di possedere una bici nera da donna dopo che due testimoni avevano raccontato di averne vista una appoggiata alla muro della villetta di via Pascoli nell’immediatezza del delitto. Con questi ‘paletti’ la Corte, oltre al sequestro della bicicletta nera da donna nella disponibilità degli Stasi, ha disposto altri accertamenti: tra questi, forse, quello chiave è stato l’esame sperimentale della cosiddetta camminata di Alberto esteso, però, anche ai due gradini e alla zona antistante la scala dove giaceva il corpo senza vita della giovane donna. Esame, questo, con cui si è stabilito come sia impossibile che Stasi non si sia sporcato le scarpe e non abbia nemmeno lasciato una traccia ematica sul tappetino della sua Golf. Oltre alle perizie degli esperti nominati dalla Corte, agli atti del dibattimento ci sono alcuni dei risultati dei supplementi istruttori con cui nei mesi scorsi il pg Barbaini ha colmato una serie di lacune, omissioni ed errori dell’inchiesta – come i graffi notati sul braccio di Alberto da due carabinieri di Garlasco e non fotografati e le impronte insanguinate di quatto dita dell’assassino sul pigiama della ragazza poi cancellate da chi ha rimosso il cadavere e delle quali sono rimaste solo alcune foto – e gli esiti di approfondimenti effettuati dai legali dei Poggi sulla bicicletta nera. I quali stasera hanno commentato: ”Ci aspettavamo la verità per Chiara e oggi abbiamo avuto una risposta”. Una risposta che ha fatto dire a mamma Rita “siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato”. Ora si ritornerà in Cassazione.