Venticinque telefonate dimostrerebbero che il ministro Saverio Romano sarebbe stato a disposizione di un “sistema affaristico-politico-mafioso avente al centro le attività del Gruppo Gas” di Massimo Ciancimino. Si tratta di telefonate “non irrilevanti” e, siccome Romano è un deputato, il gip Piergiorgio Morosini chiede alla Camera l’autorizzazione a utilizzarle.

Le conversazioni, intercettate tra il 2003 e il 2004, con altre prove e testimonianze di spessore descrivono il profilo di un “comitato d’affari” nel quale si sarebbero ritrovati, scrive il giudice, “imprenditori spregiudicati, liberi professionisti a libro paga, amministratori corrotti, politici senza scrupoli votati a una raccolta del consenso senza regole”. Sono duri i giudizi su un “sistema” per il quale, oltre a Romano, si sarebbero spesi con un’adeguata contropartita di tangenti altri politici. Dalla richiesta di Morosini emergono anche i nomi del senatore Carlo Vizzini (Pdl), dell’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro che sta scontando sette anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e l’ex senatore ed ex deputato regionale Salvatore Cintola, morto l’anno scorso. Tranne Vizzini, per il quale si procederà separatamente, erano tutti esponenti di primo piano dell’Udc siciliana. E formavano, sostengono i pm, un gruppo impegnato a sostenere gli interessi di quel “comitato d’affari” nel quale ciascuno svolgeva una parte essenziale. Metodi e funzioni sono così descritti dal gip: “I politici gestiscono il flusso della spesa pubblica e le autorizzazioni amministrative; gli imprenditori si occupano della gestione dell’accesso al mercato; i mafiosi riciclano capitali, partecipano agli affari e mettono a disposizione la forza materiale per rimuovere gli ostacoli che non è possibile rimuovere con metodi legali”. Questo “sistema” era alimentato dalle tangenti che distribuiva il tributarista Gianni Lapis, socio e prestanome di Massimo Ciancimino. Con la disponibilità dei politici e la forza criminale e finanziaria di Cosa nostra la società era riuscita ad accaparrarsi lavori di metanizzazione in diversi comuni siciliani. E alla fine era stata venduta, grazie ai buoni uffici di Romano e degli altri, al gruppo spagnolo di “Gas natural”. Solo per questo affare erano state distribuite tangenti per un milione e 330 mila euro: soldi trasferiti “sotto traccia” dalla Svizzera. A Romano sarebbero andati 50 mila euro. Lui nega, Lapis sostiene che si trattava di un “contributo” per l’Udc. I pm Nino Di Matteo, Sergio De Montis e Paolo Guido hanno ricostruito la rete degli scambi e, sulla base di un’intercettazione del 3 dicembre 2003, accusano Romano di avere portato in aula un emendamento alla Finanziaria che estendeva alle società di metanizzazione private le agevolazioni fiscali previste per quelle partecipate. Romano chiede a Lapis di preparare lui stesso il testo da presentare mentre altre intercettazioni, di cui il gip chiede l’utilizzabilità, documentano un intreccio di rapporti che legano gli affari alla politica. L’inchiesta in nove faldoni ricostruisce legami, interessi, distribuzione di mazzette. E utilizza non solo le dichiarazioni di Ciancimino, ma anche le rivelazioni di Angelo Siino il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra e dell’avvocato Giovanna Livreri, legale di alcuni soci del gruppo “Gas”. E alla fine il gip accusa Romano di essere stato “al servizio” di quel grumo inquinato di interessi.

 

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