di Beniamino De Michele*
Non è sempre vero che “I panni sporchi vanno lavati in famiglia”, a volte è necessario superare lo steccato che delimita la riserva indiana, non tanto per recarsi al fiume per lavare i panni sporchi, quando per evitare che le imprecisioni diventino verità. Non può bastare un semplice microfono tra le mani per sentirsi autorizzato ad assumere il ruolo di maschio dominante all’interno di una riserva indiana anche quando il capo di questa riserva non è altro che “un vaso di terracotta costretto a viaggiare tra tanti vasi di ferro”, come avrebbe detto il buon Manzoni parlando di deboli.
A tal proposito, per evitare di essere complice di divulgazioni false, mi sono preoccupato di documentarmi e leggere che cosa hanno scritto i professori Raffaele Buono e Gioacchino Villariello dell’università degli studi di Napoli in merito alle coltivazioni delle” viti maritate al pioppo”. Questi illustri professori, in alcuni loro scritti hanno affermato: “La coltivazione della vite prevede la presenza di un tudore; nell’antichità i contadini usavano come tudore un albero vivo (viti maritate). Gli etruschi svilupparono questa tecnica di coltivazione con due varianti: l’alberata, ove la vite e tenuta legata a un singolo albero, e la piantata, ove le viti, legate ad alberi disposti in filari, sviluppano i loro rami lungo funi tra vari alberi. Esempi di alberate sono presenti in alcuni coltivi del Cilento (Salerno). Cospicui esempi di piantata sono frequenti nel casertano, ove il vitigno coltivato è l’Asprino e i tudori sono i pioppi alti fino a 15 metri”.
Alla luce di quanto hanno scritto questi due illustri luminari, penso che sia un errore parlare di “alberate al pioppo” per il nostro territorio, si dovrebbe parlare bensì di viti “piantate a pioppo”. Capisco che qualcuno storcerà il naso per questo mio intervento ma, a chi vede in questo mio intervento solo polemica, posso solo riservargli un simpatico “Stupido”. Il desiderio mio, come quello di tutta la Proloco di Cesa è solo voler contribuire alla credibilità e alla crescita della Proloco stessa evitando di trasmettere messaggi sbagliati. Come sbagliato è stato il messaggio lasciato da un relatore alcuni anni addietro sulla terra di Montalcino (Siena), definendola: “povera di storia”.
Il sottoscritto, che avuto il piacere di godere delle bellezze di quelle terre Etrusche toccando con mano la loro storia durante lo scavo per una costruzione si è trovato tra le mani grossi conchiglioni (fossili) e residui di tegole e coppe Etrusche (oggi tegola romana), non si può dire che quelle affermazioni hanno reso un buon servizio alla nostra Proloco. In base a quanto hanno affermato i professori Buono e Villariello non possiamo trascurare che questa tipologia d’impianti per la produzione del vino, per chi non lo ricorda o non vuole ricordarlo, sono stati proprio gli Etruschi ad inventarla; solo al tempo di Roberto D’Angiò si incominciò a produrre vino asprino con la piantata e non con l’alberata come più volte si è voluto affermare.
*Componente Direttivo Proloco Cesa