Quando penso a tutto il tempo che ho trascorso con il musicista e paroliere Franco Del Prete, mi vengono in mente due cose: la prima è che con molta probabilità non trascorrerò mai più così tanto tempo della mia vita con un Musicista Vero, la seconda – forse più banale ma per me comunque importante – è che fin da quando avevo quindici anni il mio sogno era scrivere di fenomeni musicali, e grazie a Franco il mio sogno si è avverato. Proprio perché Franco ha voluto che si realizzasse. C’è una frase che Franco ripeteva spesso quando rievocava il passato, ed è questa: “Non posso andare avanti se non guardo indietro”. Una frase che letta di getto può sembrare insensata, ma che ben riassume la vita di un musicista valido come lui che ha fondato – con James Senese – le due band che hanno sconvolto e rifatto la storia della musica napoletana: gli Showmen prima, i Napoli Centrale dopo. In tutte le foto (famose e non) che lo ritraggono con gli Showmen, appare sempre ben vestito e curato fin sulla punta dei capelli. A guardarlo bene, in ogni ritratto ha l’aria pensierosa di chi rincorre qualche idea da scrivere, o qualche suono da arrangiare tra un colpo di bacchetta e un giro di rullante. Quanto ai Napoli Centrale, detto senza ombra di smentita, è possibile racchiudere l’intera epopea di una band dalla storia tanto importante quanto controversa, in una frase che l’artista Gino Paoli – amico e cantautore, che aveva coinvolto Franco Del Prete in diversi suoi lavori musicali di rilevanza internazionale– disse: “in quanto napoletani di quella band, pur essendo grandi musicisti, prima di tutto erano delle brave teste di cazzo”.

Conoscevo le canzoni di entrambe le band, ma non avevo idea del fatto che Franco fosse rimasto a vivere a Frattamaggiore, nonostante il successo. Le rockstar della musica te le immagini che fanno vita nella grandi città, tra notti brave e jam session musicali infinite. Franco, invece, se ne stava a rincorrere note musicali e versi scritti nelle nostre terre campane. Un giorno soleggiato del mese di ottobre 2018, come accade in tutti quei momenti unici che stai vivendo ma di cui non comprendi la portata fin dall’inizio, nella libreria “Quarto Stato” di Aversa avevo incontrato il mio amico e intellettuale Salvatore D’Angelo. Quell’amico era passato a trovarmi per prendere un caffè in libreria e mi aveva detto, senza tanti giri di parole, che un suo caro amico musicista avrebbe voluto raccontarmi la sua storia, per farne una biografia in ragione dei suoi cinquant’anni di carriera. Lì per lì, ascoltando quelle parole, avevo pensato subito ad uno scherzo: non poteva essere vero, perché pur scrivendo da anni non mi era mai capitato che venisse qualcuno a cercarmi per mettermi alla prova, fare sul serio per vedere come me la cavavo con la biografia di un musicista riconosciuto.

Dissi a Salvatore (con modi scettici) che avrei valutato la faccenda, ma che prima dovevo vedere di persona il suo amico musicista. Per capire quale storia originale aveva da raccontare in merito alla sua vita. Il giorno dopo il nostro caffè, Salvatore venne a trovarmi in compagnia di Franco Del Prete. Ci presentò e disse solo: Mario questo è Franco, detto lo Showmen. Fa il musicista da una vita. A Franco disse: questo è Mario, è giovane ma è un bravo scrittore, lo leggo da anni, fidati. Di fronte a me c’era un “vecchio” musicista in carne e ossa dall’aspetto più che rock: indossava una felpa e un jeans, capelli al vento, orecchino al lobo e diverse bacchette da batterista, bene in vista, che spuntavano in uno zainetto aperto portato in spalla. Dopo il caffè parlai con Franco di libri e storie, capii così che di fronte a me non avevo solo un musicista-paroliere, ma anche un attento lettore di libri. Per dirla meglio: un lettore vero di libri. Quando sei di fronte a una creatura del genere, che di mestiere ha fatto e fa anche il paroliere, non è facile misurarsi con la scrittura. Eppure Franco, fin dal nostro primo incontro, mi disse solo: “ascolta bene la mia storia, poi scrivi qualche capitolo. A me basteranno poche pagine, per capire di cosa sei capace. Se funziona, continueremo a vederci e scriveremo la mia storia.  Se hai talento come dicono i miei amici che ti hanno letto, è giusto che venga fuori…” Dopo il primo incontro, con il cuore in gola per l’emozione, preparai in alcuni giorni di intensa scrittura due capitoli biografici, basati sui racconti orali che avevo raccolto. Poi li stampai per leggerli dal vivo, al nostro nuovo incontro. Franco fu stupito e felice del risultato, cominciammo così a vederci a cadenza settimanale, per lavorare con passione e costanza al libro della sua vita: diceva che voleva finirlo in tempo, che aveva un’età e non si sapeva mai cosa riservava il futuro a quelli che avevano già compiuto alcuni giri di boa nel mare della vita. La nostra collaborazione, ci ha portato a conoscerci da vicino e a diventare amici come raramente accade nel giro musicale. La storia delle band di cui ha fatto parte Franco Del Prete contano rotture e litigi, e anche grandi momenti di gloria che facevano a pugni con lo stare troppo tempo insieme con altri addetti ai lavori che non erano parte del giro.

Eppure abbiamo parlato di storie, scambiato narrazioni orali e passato insieme attimi di grandi risate e momenti di profonde riflessioni incentrate sull’esistenza e sul fare (ancora) musica in tempi bui come questi.  Quando Franco raccontava storie aveva bisogno di accendersi sempre una sigaretta, era questo un suo tic artistico incontrollabile che lo ha accompagnato per tutta la vita. Talvolta sentiva l’esigenza di mangiare del buon cioccolato fondente. Io, da non fumatore, ero quello che portava sempre il cioccolato fondente con cui coccolavamo il nostro parlare. A rileggere tutte le pagine scritte insieme, ora che Franco non c’è più, viene fuori il ritratto di un uomo che ha sempre combattuto, per stare al passo con i tempi musicali e di vita vissuta. La vita di un Apache (per riferirci al titolo di uno dei suoi ultimi progetti musicali) che era l’Ultimo di un’epoca, fra gli individui ultimi che lui aveva incontrato; vivendo a cavallo di più epoche. Mi raccontava spesso che gli piaceva molto (quando non faceva musica nel tempo libero) stare tra la gente comune di paese, perché – diceva – “Serve alla mia ricerca musicale, a farmi rimanere con i piedi a terra nonostante la furia di provare e riprovare, senza mai avere le carte in regola per farcela davvero”.  E invece le carte per farcela le aveva trovate tutte: dal 1980 in poi aveva collaborato concretamente con artisti del calibro di Gino Paoli, Eduardo De Crescenzo, Sal Da Vinci, Peppino di Capri ed Enzo Gragnaniello. E come se non bastasse tutto questo fare musica da “grande musicista tra i grandi artisti”, negli ultimi dieci anni, pur collaborando attivamente al progetto Napoli Centrale con James Senese, aveva creato diversi album in autonomia con il progetto Sud-Express, che Franco amava definire una “band-fucina di talenti in cui dare spazio a giovani artisti che hanno bisogno di essere scoperti dal grande pubblico.”

Quando non aveva le bacchette nello zainetto, portava sempre con sé una vecchia agenda sulla quale annotava pensieri e riflessioni, poesie e canzoni. Scriveva di getto, e mi raccontava che gli accadeva mentre camminava a piedi lungo la sua città o in auto tra i paesoni della periferia napoletana, e le cittadine di terra di lavoro. Talvolta, quando le suggestioni ritrovate erano davvero intense, mi telefonava anche ad orari improbabili per leggermi i suoi frammenti al telefono e fermare nel tempo quei momenti di scrittura pura e immortale. Il mio telefono non squillerà più in piena notte, per ascoltare la voce di un narratore vero. Però, e di questo sarò sempre eternamente grato a Franco, tutto il tempo trascorso con lui (per scrivere a quattro mani una biografia cartacea potente ed emozionante) sarà sempre per me un tempo del ricordo, da rivivere con la mente e col cuore. Grazie mitico Showmen, per le grandi risate, per la stima affettuosa che nutrivi nei miei confronti, e per tutte le storie che mi hai raccontato. Hai realizzato un mio sogno, entrando nei miei sogni di fantasia narrativa.

Mario Schiavone

 

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