A novembre scorso, l’Osservatorio permanente di Confimprese-Jakala assegnava al Sud la palma d’oro per la maggiore crescita dei consumi in Italia tra ristorazione, abbigliamento-accessori e retail non food, un più 4% rispetto ad un anno prima che non tutti avevano previsto. Ma è da gennaio che l’impatto dell’inflazione sull’area più debole del Paese, ancorché capace di simili performance, rischia di lasciare il segno, al netto di rallentamenti come quello segnalato ieri dall’Istat. C’è un «differenziale sfavorevole al Mezzogiorno», per usare l’espressione contenuta nell’ultimo Rapporto Svimez. E cioè, nel “carrello della spesa” del consumatore medio del Sud prevale l’acquisto di beni di consumo più colpiti dal rincaro delle materie prime, a differenza del Centro-Nord dove il peso maggiore riguarda l’acquisto dei servizi sui quali la crescita dei prezzi incide decisamente di meno. È la conseguenza della disuguaglianza della distribuzione del reddito tra i territori, uno dei temi più ricorrenti ogni volta che si approfondiscono le ragioni del divario. Spiega Luca Bianchi, direttore generale della Svimez: «Nel Mezzogiorno è di gran lunga più estesa la platea di famiglie con redditi collocabili nella parte inferiore della distribuzione, per le quali è prevalente la spesa destinata all’acquisto di beni di consumo di prima necessità». Per loro, l’incidenza dei costi inevitabili, sospinti dall’inflazione, arriva già da tempo a coprire il 70% dei consumi totali ma è destinata a crescere a breve e media scadenza di oltre dieci punti percentuali. Ancora Bianchi: «Una famiglia su tre residente nel Mezzogiorno presenta una spesa media mensile minore o uguale alla spesa media del 20% più povero di tutte le famiglie italiane. Per rendere bene l’idea, nelle altre aree del Paese la medesima percentuale è nettamente inferiore: siamo a circa il 13% nel Nord e a poco più del 14% nel Centro. Considerando l’inflazione acquisita per l’anno scorso dell’8% per tutte le voci di spesa (almeno in base al dato previsionale Istat dello scorso ottobre), e dunque un incremento dell’8,9% per i beni alimentari e del 34,9% per la voce “abitazione, acqua, elettricità e spesa per combustibili”, si può calcolare che l’aumento maggiore delle spese incomprimibili riguarderà i ceti meno abbienti che dovranno destinare circa l’82,1% dei propri esborsi all’acquisto dei beni strettamente necessari».

Il Sud avvertirà soprattutto adesso questo impatto per l’inevitabile rallentamento del turismo per ragioni stagionali ma ci sono soprattutto le dinamiche economiche a chiarire la situazione. E cioè che gli effetti inflazionistici provocati dal forte incremento delle materie prime si trasmettono pienamente ai consumatori con un tempo di ritardo (lag temporale per chi ama la precisione) di alcuni trimestri. È per questo che la Svimez prevede la recessione nei primi mesi del nuovo anno al Sud, conseguenza inevitabile della frenata dei consumi indotta dall’inflazione che in quest’area, come detto, ha un peso maggiore perché colpisce la maggiore quota nazionale di famiglie meno abbienti. Si dovrà convivere con un costo della vita così alto e tale, nel Mezzogiorno, da avvicinare altre famiglie alla soglia della povertà assoluta? Le previsioni del 2023 per la verità parlano di un calo robusto rispetto all’11% di oggi ma al Sud l’inflazione resterà comunque maggiore: 5,7% contro il 4,5% previsto nel Centro-Nord. Pesa la differenza del reddito pro capite che al Sud resta il 54% di quello del Centro-Nord. Con la conseguenza che i beni di consumo, la tipologia di spesa più colpita, dovrebbero contrarsi del 2,2% nel Centro-Nord e di quasi il doppio (4,2%) al Sud. Non così la spesa in servizi che pur rallentando decisamente rispetto al 2022, continuerà a crescere al Sud e al Centro-Nord, sia pure in proporzioni diverse (2,2% contro 3,4%). Ma questo dato, come già detto, per l’economia meridionale ha un’importanza relativa: è la spesa delle famiglie che fa il totale, direbbe Totò. E quella crescerà al Nord sia pure di poco (+0,6% la previsione), mentre nel Mezzogiorno sarà in rosso, un meno 1,4%.

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