di Vincenzo Viglione Volendo prendere per buona la volontà che ha spinto il Governo a mettere mano a misure finalizzate al contrasto delle criticità che caratterizzano la cosiddetta “Terra dei fuochi”, non si può certo dire altrettanto sull’efficacia del Decreto Legge 10 dicembre 2013, n. 136 , recante “Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”.

Di fronte all’intensa pressione che ormai da oltre un anno associazioni, comitati e semplici cittadini di questo territorio hanno esercitato nei confronti di istituzioni locali, regionale e nazionale, per chiedere una via d’uscita concreta dall’emergenza ambientale e sanitaria che li affligge, il Governo centrale ha pensato bene di mettere mano ad alcune riforme normative che però, leggendo il testo del decreto, suscitano forti dubbi circa la loro reale efficacia.

Negli articoli che disciplinano gli interventi per la terra dei fuochi, infatti, la prima perplessità è quella relativa all’introduzione della reclusione per chi incendia e/o abbandona rifiuti in aree non autorizzate.

Ora, a parte che gli incendi spesso si sono verificati anche in aree autorizzate, se da un lato tale misura è interpretata come un deterrente nei confronti di criminali che quotidianamente alimentano il fenomeno dello sversamento abusivo di rifiuti e dei conseguenti roghi tossici, di contro trascura per l’ennesima volta il fatto che sversamento e incendio rappresentano la fase terminale di uno smaltimento illecito di rifiuti che quindi necessita di ulteriori norme finalizzate alla prevenzione di tale processo. Norme capaci di intervenire sulla produzione di rifiuti, bloccando a monte ad esempio il flusso di rifiuti speciali provenienti dalle centinaia di aziende sommerse operanti sul territorio interessato dal fenomeno. Per non parlare poi del monitoraggio dei flussi di rifiuti industriali ancora in attesa di una piena attuazione del SISTRI.

Sullo stesso binario, come testimoniato anche dalle proteste ambientaliste dei giorni scorsi, è da ritenersi poco più che fumo negli occhi l’ipotesi di impiego di militari per presidiare le zone oggetto di sversamento e di incendio di rifiuti. Senza intervenire alla fonte infatti, non si farebbe altro che correre continuamente dietro delinquenti che poco o nulla hanno a che vedere con il sistema illecito di produzione di rifiuti sul quale invece occorre agire.

L’altra forte perplessità riscontrabile nel decreto riguarda l’azione relativa all’individuazione dei terreni e delle aree da destinare ad interventi di bonifica.

Per tali aree infatti, se è vero che il governo ha messo nero su bianco l’intenzione di impiegare ben tre milioni di euro per finanziare le attività di monitoraggio e individuazione dei terreni che “non possono essere destinati alla produzione agroalimentare ma esclusivamente a colture diverse“, allora qualcuno dovrà spiegare agli agricoltori che dovessero trovarsi di fronte all’obbligo di conversione delle colture, in che modo il governo intende sostenere un processo di trasformazione che alla luce degli effetti devastanti subiti dal comparto agroalimentare, necessiterebbe quanto meno di adeguato un sistema di incentivi.

C’è infine da sottolineare l’esclusione dalle commissioni di controllo sull’attuazione delle operazioni previste dal decreto di una rappresentanza cittadina che, opportunamente inserita nel tavolo formato dalle componenti ministeriali, potrebbe rappresentare un valido elemento di riscontro, capace di testimoniare direttamente, dopo anni di annunci e proclami, il passaggio delle misure dalla carta al territorio.

 

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