di Riccardo D’Antonio

E’ ancora possibile salvare l’Italia? La sensazione, che l’Italia stia andando alla deriva economica e stia seguendo passo dopo passo lo stesso percorso della Grecia verso il baratro finanziario, è così palpabile che ormai nei bar oltre alle classiche interminabili conversazioni sul calcio si sono aggiunte tecnicissime diatribe sullo “spread” e sui mercati finanziari,

che dividono fatalistici catastrofisti da patriottici ottimisti allo stesso modo, in cui normalmente si schierano i tifosi di squadre diverse. Gli argomenti dell’accusa sono noti e basati sia su fatti economico-statistici sia sull’evidenza “empirica”: il rapporto debito/PIL è ben oltre il livello di guardia dell’80% stabilito dai parametri di Maastricht e si dovrebbe attestare intorno al 120% per l’anno in corso; il quantum del debito pubblico italiano (circa 1,900 miliardi di Euro) è tale da rendere difficile un salvataggio da parte degli altri stati europei, che sono comunque alle prese con problemi simili o collegati; l’economia italiana è frenata, se non addirittura bloccata, da conflitti di interesse pervasivi, scarsa produttività e misera remunerazione del lavoro; carenza strutturale di infrastrutture materiali e immateriali, che rendono quasi impossibile mantenere il passo degli altri paesi occidentali; un sistema giudiziario in ginocchio, che per la sua scarsissima efficienza, sia nel civile che nel penale, è diventato quasi un esempio di ingiustizia giudiziaria; un’incidenza elevatissima di corruzione e criminalità organizzata nel tessuto economico, che tra gli effetti collaterali ha anche quello di diffondere comportamenti incivili e socialmente nocivi; un’endemica evasione fiscale, con annessa sperequazione e iniquità sociale.

Gli argomenti della difesa si fondano su fattori tecnici ed emotivi: il debito pubblico italiano è il terzo più grande al mondo e ciò rende difficile scaricarlo completamente da parte degli investitori internazionali; la scadenza media del debito è sette anni e quindi i recenti aumenti dei tassi nelle aste e sul mercato secondario incideranno minimamente sul costo complessivo, dandoci il tempo di rimettere i conti in ordine; il bilancio dello stato, escluse le spese per interessi, è pressoché in pareggio; la ricchezza netta delle famiglie italiane è di circa 8,600 miliardi di Euro, come si evince dall’ultimo rapporto in merito di Banca d’Italia, che, seppur iniquamente distribuita, è ben al di sopra del monte-debiti (lo stesso argomento regge ma è fortemente indebolito se dalla ricchezza complessiva si scorporano le case e le attività reali, che pesano per 5,800 miliardi); agli stati europei “forti”, Germania in testa, non conviene far implodere l’Euro perché ridurrebbe drasticamente il mercato delle loro industrie manifatturiere che ritornerebbero a doversi confrontare con una moneta poco “competitiva”; gli Italiani sono pieni di risorse ed inventiva quindi qualcuno, magari un vecchio professore, estrarrà un coniglio dal cilindro e ci trarrà fuori da questa situazione che è grave, ma non ancora seria. Tenendo conto di tutti questi fatti, vorrei proporre alcuni spunti di riflessione:

1) chi abbraccia i ragionamenti del secondo tipo, deve riconoscere che sono argomentazioni, escludendo il coniglio dal cilindro, per lo più transitorie, che non risolvono in modo duraturo il problema ma si limitano a constatarlo e procrastinarlo;

2) chi porta ad esempio solo gli argomenti del primo tipo, perde di vista che proprio dove ci sono le maggiori inefficienze c’è la possibilità di proporre riforme immediatamente incisive, come le tanto sbandierate, ma mai attuate, “liberalizzazioni”;

3) Una serie e ponderata riforma del sistema giudiziario è una conditio sine qua non sia per riguadagnare competitività nei confronti dei nostri concorrenti esteri sia per estirpare criminalità e corruzione dal sistema. La giustizia andrebbe ripensata, non tanto nei codici, che sono probabilmente tra i migliori nei sistemi di “civil law”, ma nel modo in cui si amministra: bisognerebbe ridurre i gradi di giudizio passando magari da tre a due, liberare i tribunali da cause civili pretestuose o fini a sé stesse (liti di condominio et similia), demandandone la risoluzione ad altri organismi, informatizzare radicalmente le cancellerie, etc.;

4) La patrimoniale e la riforma delle pensioni andrebbero proposte più per fornire un esempio di ritrovata coesione sociale e volontà di proporre uno stato sociale più equo e allineato con gli altri paesi europei che non come soluzione definitiva del problema del debito. Anzi la patrimoniale, vista anche la forte polarizzazione della ricchezza, potrebbe anche essere reinterpretata in maniera creativa per cercare di evitarne gli effetti dannosi e distorsivi sulle politiche di investimento: stabilita la percentuale che ciascuna famiglia “ricca” dovrebbe pagare (e mi riferisco a quel 10% che detiene circa il 50% del totale) si potrebbe defiscalizzare la parte utilizzata per avviare nuove imprese e annesse assunzioni. Nella situazione attuale aumentare le tasse richiedendo “lacrime e sangue” ai cittadini fornirebbe soltanto la prova inconfutabile della famosa citazione di Winston Churchill: “We contend that for a nation to tax itself into prosperity is like a man standing in a bucket and trying to lift himself up by the handle” (“Sosteniamo che per una Nazione, cercare la prosperità con un aumento delle tasse, è fare come quell’uomo nel secchio che cerca di rimettersi in piedi sollevandosi col manico”);

5) Gli italiani invece di investire un “unto del signore” dell’onere di approntare tutte le riforme dovrebbero assumersi le proprie responsabilità e sfruttare la propria proverbiale inventiva per favorire la crescita, sfruttando il momento di crisi internazionale: perché non proporre alle banche estere, in fuga da regimi regolatori sempre più stringenti in ogni paese, di stabilire la propria sede in Italia in cambio di una defiscalizzazione completa (a fronte ovviamente di sostanziose assunzioni) e una regolazione più leggera? Perché non proporre alle aziende manifatturiere, italiane e non, che continuano a spostare le lavorazioni verso oriente di (ri)stabilire le funzioni a più alto valore aggiunto (amministrazione, progettazione, marketing, etc.) nel Bel Paese anche in questo caso a fronte di una completa defiscalizzazione? Perché non combattere la perenne lotta all’evasione con un’arma definitiva, quale potrebbe essere una tassa sui prelievi di contante oltre una certa somma? Ovviamente tutte queste proposte necessiterebbero anche di un notevole ripensamento della burocrazia;

6) I nostri rapporti con l’Europa devono essere uno dei nostri punti d’azione più decisi: non siamo uno degli anelli deboli, bensì uno dei paesi fondatori che ha subito in misura maggiore la perdita di sovranità monetaria non collegata ad una politica fiscale unitaria. I paesi più forti dovranno accettare uno stabile incremento dell’inflazione, che nel breve termine consentirà a quelli meno virtuosi di temperare gli effetti del debito, ma si dovrà ripensare in ottica europea gran parte delle legislazioni locali, per evitare che nel futuro si possano ripetere queste situazioni di forti squilibri internazionali. Imporre, ai Paesi più indebitati, una miope politica di austerità non collegata a provvedimenti strutturali, che favoriscano la crescita e una maggiore integrazione politica, riuscirà solo ad aggravare la situazione. Lo statuto della BCE va riformato per giungere ad un mandato che ricomprenda anche lo stimolo alla crescita oltre che la lotta all’inflazione, cosa che de facto già sta avvenendo con il continuo acquisto di titoli italiani. La via per la risoluzione dei problemi italiani si prospetta molto difficile, il tempo sta scorrendo via rapido e difficilmente riusciremo a chiedere ai mercati ulteriori proroghe, che al momento risulta difficile anche solo ipotizzare (ed in effetti lo spread è risalito immediatamente subito dopo le dimissioni di Berlusconi).

L’Italia ha tuttavia ancora parecchie carte da giocare e anche qualche asso nella manica rappresentato da alcune delle nostre aziende più famose e da talenti da valorizzare. Cerchiamo di sfruttarle al meglio senza affrontare la partita con sufficienza, anche se a giudicare dalle premesse, il nuovo governo Monti si limiterà a promuovere “un’ordinata liquidazione” dell’Italia non avendo la forza, con le sue intrinseche contraddizioni ed equivoci politici, di imporre la necessaria sterzata ad un Paese alla deriva.

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