di Nicola del Piano

C’è un posto a nord di Napoli che sembra un basso in un piccolo comune di nome Succivo e che ospita il Museo Archeologico dell’Agro Atellano. All’interno, visitabili gratuitamente, ci sono i resti di una civiltà di circa 2400 anni e ritrovati in tutta la terra di Atella, da Frattaminore a Sant’Arpino, da Gricignano di Aversa a Orta di Atella. È totalmente inutile scrivere che questo posto non è per niente visitato, risulta deserto, bistrattato e ignorato dalla maggior parte della popolazione locale e non solo. Così come, riproporre la manfrina della Storia che dovrebbe insegnare qualcosa. Tempo perso.

La mia speranza è che questo Museo non debba rischiare la chiusura in mancanza di visitatori, facendo così vincere gli “indifferenti”, che poi sono i cattivi di questa storia. All’ingresso, una signora incredula per l’inaspettata visita, non nasconde la felicità nel vedere il raro visitatore e così subito corre ad accendere tutte le luci. Il suono gracchiante e deciso dell’interruttore riempie tutto lo spazio e il suo eco mi accompagna mentre salgo i primi gradini. Ciò che mi si apre davanti agli occhi, divenuti già più increduli di quelli della custode, si estende su per tutti i due piani di quello che sembrava un basso e che, invece, è uno scrigno enorme, pieno di vasi, anfore, ornamenti, gioielli antichi e, soprattutto, spiriti di uomini e donne andati. Sembra che la ricchezza di questo posto così luminoso, grazie anche alla grande mansarda, sia proprio quella di riportare alla luce esistenze che mai nessuno avrebbe conosciuto. Vite di uomini, nei loro costumi e nelle loro abitudini, scoperte attraverso lavori e scavi effettuati negli ultimi anni in terra atellana.

Quelle stesse anfore, quei gioielli, i vasi a figure rosse e tutti quei reperti, databili dall’età del Bronzo all’età tardo antica, sono silenti e osservano il viandante, lo scrutano, restii a cedere pezzi di fiducia, ma ben contenti, poi, di parlare, tramandare, e urlare la loro presenza, per niente arrugginita. Ed è per tali motivi che il silenzio che avvolge tutto il Museo è in realtà soltanto apparente. Tutto ciò che lì si trova è tutt’altro che morto, ogni cosa parla di un passato che c’è e passato già non è più; così come, tutto l’inchiostro della Storia, anche attraverso le esaurienti tavole descrittive lì poste, ritrova in quel luogo il senso di sé.

Un senso che pervade l’ospite fino alla fine del breve viaggio, non prima di aver ammirato i corredi di età orientalizzante situati al secondo piano, per poi ritrovarsi, spente tutte le luci, di nuovo in strada, tra le vie di quei paesi, teatri ultimamente di sfilate lunghe e poderose, dove improvvisati ed appassionati paesani cercano un’identità e un valore che sono da sempre sotto i loro occhi, ad ogni angolo di strada, in quei musei ed in quei luoghi di cultura, troppo “banali” da considerare.

 

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