di Mario De Michele
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. I personaggetti, cattivi dentro e belli fuori, dell’antimafia di professione hanno seguito le orme del nazista Joseph Goebbels, braccio destro di Hitler, pur di distruggere Marcello De Rosa. Ma l’incubo è finito. Ora c’è la massima certificazione della sua “pulizia” personale, morale, amministrativa e politica. L’attestato gli è stato rilasciato dalla Dda di Napoli. Da quei magistrati che si dedicano anima e corpo, rischiando la vita, a combattere la criminalità organizzata. Al termine di un’articolata indagine per presunto concorso esterno in associazione mafiosa durata 4 anni, i pm antimafia hanno sancito la totale estraneità del sindaco di Casapesenna ad ambienti malavitosi, meno che mai camorristici. Noi di Campania Notizie ne siamo sempre stati convinti. Non ci stupiamo. L’archiviazione disposta dalla Dda di Napoli è una ghigliottina che decapita le malelingue, i calunniatori, i diffamatori, i delinquenti abituali travestiti da legalitari di ritorno. Per anni De Rosa è stato colpito senza pietà dall’artiglieria pesante degli avvelenatori di pozzi, dei macchinisti del fango, dei giornalisti da assalto (alla diligenza), dei cultori del sospetto. Per fortuna in uno Stato di diritto la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità ma del khomeinismo.
Nel caso di De Rosa c’è l’aggravante del finto integralismo di accusatori in realtà amici, parenti e amanti di camorristi. I professionisti dell’anticamorra dell’agro aversano, e non solo, continuano a sporcare il nome di Peppino Impastato riempiendosi la bocca con la frase “La mafia è una montagna di merda”. Sul binario parallelo alle chiacchiere corre il treno ad alta velocità degli affari. Il business del volontariato a pagamento non va mai in crisi. La giostra è sempre in funzione. E il giro d’affari fa venire le vertigini. Milioni di euro, spesso non rendicontati, finiscono non si sa bene in quali tasche. Associazioni e cooperative sociali hanno sentito l’odore dei soldi. Hanno creato un cerchio tragico. “Questa è cosa nostra”, si sono detti. E in effetti è “cosa “loro”. Tutti coloro i quali hanno lottato realmente contro la camorra appena entrati in politica sono stati additati come eretici da mettere al rogo con la sentenza del Torquemada di turno.
I VOLONTARI A PAGAMENTO E LE GIORNALISTE-BARBIE
Nella zona casalese, nel senso territoriale del termine, il nemico pubblico numero 1 è diventato Marcello De Rosa. Un giovane imprenditore estraneo al “sistema” dell’antimafia di professione. Prima dell’elezione a sindaco di Casapesenna (fu eletto nel 2014, poi rieletto quest’anno) aveva fatto arrestare 7 emissari dei Casalesi. È tuttora sotto scorta. Durante il suo primo mandato la moglie e le figlie furono sequestrate in casa per ore in una rapina dal chiaro sapore dell’avvertimento mafioso. Tempo dopo il fratello fu pestato a sangue in perfetto stile camorristico da due malviventi. Un sindaco come De Rosa nella roccaforte di Michele Zagaria doveva essere osannato dal fronte antimafia. E no. Lui non faceva parte del cerchio tragico. Andava abbattuto con ogni mezzo. Subito si è messo in marcia l’esercito degli untori. In guerra contro il primo cittadino di Casapesenna sono scese giornaliste prezzolate. Le stesse che consigliavano a politici poi arrestati di non parlare in “quel bar” perché sottoposto a intercettazione ambientale (vedasi informativa dei carabinieri). Giornaliste sguaiate solite a cenare e a intrattenersi con Nicola Cosentino quando era il padrone del Pdl campano. Giornaliste-Barbie, una bruna e una bionda, animate solo da beceri obiettivi politico-amministrativi e da finalità di cooperazione sociale ben retribuita. Volevano far fuori De Rosa per ridare la poltrona di sindaco a Giovanni Zara.
LE ASSOCIAZIONI DEI PRIMI FILO-CAMORRISTI, I SOLONI E I SOLINI
Sul terreno di battaglia anche giornalisti frustrati da una carriera culminata con le agenzie di stampa (scribacchini, insomma). Ed ex star nazionali del giornalismo giustizialista televisivo, ora finiti nell’etere ma ancora affetti da una inguaribile smania di protagonismo. Contro De Rosa scendono in campo anche sindaci che hanno sempre cavalcato l’onda della propaganda legalitaria. A proposito, per caso c’è qualche figlio di papà-sindaco che vive di volontariato? In strada si sono visti anche i carri armati delle associazioni anticamorra. Carri armati guidati da soloni talmente viscidi da essere al massimo solini, scrocconi degli enti pubblici e scrivani vestiti da scrittori. Nei loro pseudo-libri hanno scritto tante di quelle bugie da tappare il cratere del Vesuvio. Balle messe nero su bianco peraltro con il compimento di un impietoso sterminio delle regole elementari della lingua italiana. Si sono visti in giro “ultimi” che sono i primi filo-camorristi. Al cuor non si comanda. Però un po’ di decenza (non fingetevi legalitari) vi renderebbe magari penultimi come uomini e donne.
LE IPOTESI DI REATO E CHI HA DENUNCIATO
Passo indietro. L’indagine della Dda napoletana su De Rosa. E qui ci divertiamo. L’inchiesta parte sulla scorta di intercettazioni telefoniche, inchieste giornalistiche ed esposti dell’allora opposizione consiliare. Sulla minoranza stendiamo un velo pietoso. Per qualificare una parte dell’opposizione basta il nome di Raffaele Cangiano, genero dell’imprenditore della camorra Sergio Orsi e dichiarato incandidabile in seguito allo scioglimento del consiglio per camorra. Sugli operatori della (dis)informazione ci soffermiamo un attimo. L’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa è stata alimentata da alcuni scritti, si fa per dire, di Marilena Natale. Non si capisce bene se è giornalista o meno. Per ottenere il tesserino serve il diploma superiore. Da Giovanna d’Arco della lotta ai Casalesi ha scritto, si fa sempre per dire, una sfilza interminabile di cose contro De Rosa. Forse ha presentato anche esposti alla magistratura. Per quasi tutto il suo primo mandato il sindaco di Casapesenna ha subito dalla Natale accuse in continuazione su tutto.
Per lei anche un serial killer era più rispettabile di De Rosa. Incarnava la continuità con la passata amministrazione targata Fortunato Zagaria, legato a sua volta a Michele Zagaria. Secondo la magistratura tra i due c’è un intreccio politico-mafioso. Forse è vero. Sicuro è che la fondatrice di un’associazione locale anticamorra ha avuto un legame intimo con uno di loro. Un’altra grave colpa di Marcello De Rosa era quella di essere il fratello di Lello, ex vicesindaco di Fortunato Zagaria. Oddio. Che paura. Se non che anche Giovanni Zara, attuale avvocato della Federazione antiracket di Tano Grasso, grazie alla quale sta collezionando svariate parcelle, è stato in passato il braccio destro di Zagaria (Fortunato). L’altro, quello pericoloso, Michele, dice addirittura che per fare la lista che poi gli consentì di diventare sindaco di Casapesenna Zara chiese il suo “permesso”. Sicuramente è una bugia. Fatto sta che la non giornalista Natale non ne parla e sversa accuse di ogni tipo solo addosso a Marcello De Rosa. Se non fosse per una questione anagrafica avrebbe insinuato che è lui l’autore della strage di Piazza Fontana.
“NU JUORNO BRUTTO” PER RUOTOLO E IL TRIONFO DELLA VERITÀ
Passiamo a un vero giornalista: Sandro Ruotolo. Tanto di rispetto. Però ogni tanto un po’ di sesso non farebbe male. Grazie a dio non esiste sempre e comunque la camorra. Per l’ex collaboratore di Santoro invece dietro a tutti e a tutto ci sono i clan. Le lancette del suo orologio sono ferme a 10 anni fa. Nel frattempo grazie all’incessante impegno di magistrati e forze dell’ordine si è fatta quasi piazza pulita. Mai abbassare la guardia. Ci mancherebbe. C’è ancora un pezzo di strada da fare, ma pensare che l’agro aversano sia come quello di un decennio fa significa stare fuori dal mondo. Ruotolo, giornalista sempre imparziale, postò su Fb il commento “E’ nu juorno buono” nella giornata dell’arresto ai domiciliari di Lello De Rosa. Quando però l’inchiesta sul fratello del sindaco fu archiviata perché il “fatto non sussisteva” (lo hanno scritto i magistrati) non se ne accorse. Nessun post. Forse stava a letto con la febbre perché non era “nu juorno buono”. I pm della Dda prendono spunto anche da alcune inchieste di Ruotolo. Al fascicolo si aggiunge poi la denuncia dell’allora consigliere Sebastiano Cilindro. A suo dire il sindaco De Rosa lo avrebbe costretto a dimettersi commettendo i reati di falso e violenza privata, aggravata dal metodo mafioso. Caspita, verrebbe da dire che il primo cittadino di Casapesenna è peggio di Riina e Provenzano messi assieme. Il suo nome è sempre associato alla camorra. Però, come dicevamo all’inizio, viviamo in uno Stato di diritto in cui (quasi mai) prevale il motto di Goebbels “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
IL SENSO DELLO STATO DEI MAGISTRATI E LA VITTORIA DELLA GIUSTIZIA
Per oltre 3 anni i magistrati antimafia hanno rivoltato come un calzino il sindaco De Rosa. Hanno condotto un’indagine certosina e impegnativa per verificare se ci fossero legami tra il primo cittadino di Casapesenna e i clan. Hanno redatto un fascicolo di 600 pagine lavorando sodo. Lo hanno fatto seriamente. Con grande senso del dovere. Come si fa in una nazione civile dove la giustizia non va confusa con il giustizialismo e il principio di presunzione di innocenza non viene sovvertito da quello di presunzione di colpevolezza. Cosa è emerso alla fine dell’inchiesta a carico di De Rosa condotta dalla Dda di Napoli? Lui e la camorra sono agli antipodi. Mai avuto rapporti con boss o affiliati. Nessun condizionamento sull’azione politica o amministrativa. Nulla di nulla. Per ciò che attiene al presunto falso o all’ipotesi di violenza privata semplice (altro che metodo mafioso) i pm hanno passato la palla alla Procura Napoli Nord. Ma è fuffa. Niente e nessuno potrà più sporcare l’immagine di Marcello De Rosa accostandolo ai clan. È stato “assolto” dai magistrati anticamorra. Una medaglia d’onore che nessuno gli potrà mai più strappare dal petto. Saranno in tanti a rosicare. A masticare amaro. A disperarsi perché la macchina del fango si è inceppata. Dovrebbero invece chiedere scusa a De Rosa e ai suoi familiari. Non lo faranno mai. I professionisti dell’antimafia e i finti legalitari sguazzano nell’anticamera del sospetto. Odiano la verità. Ma ora devono alzare bandiera bianca. E visto che ci troviamo (l’appello è alla Dda napoletana) si vada fino in fondo su tutto e tutti. Scopriamo finalmente chi sono i “buoni” e chi i “cattivi”.