di Lucio Romano*

Una preliminare e necessaria considerazione: il parere del CNB “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito” non legittima la procedura. Affermarlo è una forzatura interpretativa, per quanto prevista per le diverse aspettative e le complessità del tema. Attraverso un’accorta lettura del Parere, si evince chiaramente la pluralità delle posizioni: contrari sia sotto il profilo etico che giuridico; favorevoli sul piano morale e giuridico; altri che rilevano la non immediata traducibilità dall’ambito morale a quello giuridico pur evidenziando concreti rischi di un pendio scivoloso. La pluralità del CNB è definita chiaramente nell’art.13 delle linee guida che, in merito alla stesura dei pareri, predispone che “siano costituiti anzitutto da una parte descrittiva dello status quaestionis. Nella parte valutativa, quando emergono orientamenti divergenti, dovrà essere dato conto, in forma aperta e compatibile con l’economia del documento, della pluralità degli argomenti e delle posizioni emerse.” Detto in altri termini la pluralità non è un minus ma è costitutiva del CNB, pertanto è irrealistico pensare che su temi bioetici così complessi ci si possa esprimere pervenendo alla condivisione di tutti. Il Comitato ha affrontato il tema a seguito dell’ordinanza della Corte Costituzionale (n.207/2018, che è intervenuta sulla questione, sollevata dalla Corte di Assise di Milano (ordinanza 14 febbraio 2018), in merito al caso Cappato e alla sospetta illegittimità costituzionale dell’artt.580 del Codice penale che norma l’istigazione o l’aiuto al suicidio.

Nell’ordinanza della Corte Costituzionale si rinvia la decisione sulla costituzionalità della norma penale all’udienza pubblica del 24 settembre 2019, in modo da consentire al Parlamento “ogni opportuna riflessione e iniziativa”. Quindi, a breve, la Corte Costituzionale si dovrebbe esprimere. Il parere del CNB, pur intervenendo sulla ordinanza in modo specifico e inquadrandola nel contesto normativo dell’ordinamento italiano, affronta il tema del suicidio medicalmente assistito sul piano generale e riportando le diverse posizioni bioetiche. Come è puntualmente richiamato nel testo, con la diversità di opinioni si ha la possibilità, d’altronde, di fornire elementi di riflessione a servizio delle scelte di una società che intenda affrontare una questione, come quella del suicidio medicalmente assitito, che presenta una serie di problemi e di interrogativi a cui non è possibile dare una risposta univoca. Una tematica che va annoverata fra le più controverse del dibattito bioetico attuale nel nostro Paese. Va considerato anche che l’elemento personale e le specifiche situazioni giocano un ruolo rilevante nel momento in cui ci si interroga in cosa consista il diritto alla vita, se esista il diritto alla morte e quali siano i valori etici a cui ispirarsi e in quale dimensione si collochi l’intervento del terzo, in particolare del medico, chiamato a dare risposta alla richiesta del paziente. A riprova, se necessario, che il parere in oggetto non rappresenta né può essere letto come una richiesta di legalizzazione del suicido medicalmente assistito sono i vari richiami condivisi alle cure palliative, alle terapie del dolore, alla sedazione profonda continua, ai rischi del piano scivoloso.

A conclusione, poi, le raccomandazioni. E così la posizione, nettamente espressa e argomentata, che si pone in chiaro contrasto. In particolare membri del CNB si oppongono al suicidio medicalmente assistito sia sul piano etico che su quello giuridico, e convergono nel ritenere che la difesa della vita umana debba essere affermata come un principio essenziale in bioetica, quale che sia la fondazione filosofica e/o religiosa di tale valore. Su tali basi si ritiene che un’eventuale legittimazione del suicidio medicalmente assistito: a) attivi un vulnus irrimediabile al principio secondo il quale compito primario e inderogabile del medico (e, più in generale, di ogni operatore e di ogni sistema sanitario giuridicamente riconosciuto e garantito) sia l’assoluto rispetto della vita dei pazienti, anche nei casi in cui essi stessi formulino esplicite richieste di aiuto al suicidio o più in generale di carattere eutanasico. In tale contesto si richiama il principio morale di indisponibilità della vita umana in quanto ciascuna persona ha una dignità intrinseca anche nelle condizioni di grave disabilità o compromissione della salute; b) non possa essere giustificata a partire dalla possibilità di accertare rigorosamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, la pretesa volontà suicidaria del paziente, assunta come volontà pienamente informata, consapevole, non sottoposta a condizionamenti psicologici, familiari, sociali, economici, o religiosi; c) provochi o comunque favorisca inevitabilmente un progressivo superamento dei limiti che si volessero eventualmente indicare, come appare assolutamente evidente in quegli ordinamenti, che, avendo legalizzato il suicidio medicalmente assistito, l’hanno di fatto esteso indebitamente a minori, a soggetti psicologicamente e/o psichiatricamente fragili, agli anziani non autosufficienti, fornendo prove evidenti della difficoltà di porre un freno – una volta indebolito il principio del più rigido rispetto nei confronti della vita – al pendio scivoloso a favore di pratiche eutanasiche o comunque para-eutanasiche sempre più diffuse.

Per quanto siano umanamente comprensibili le condizioni estreme e drammatiche di alcuni casi concreti e alcune condizioni cliniche che portano i malati a chiedere l’aiuto a morire al medico, si ritiene siano sufficienti i percorsi già delineati dal legislatore e da una consolidata riflessione bioetica: la non giustificazione della ostinazione irragionevole delle cure (ritenendo doveroso che il medico bilanci saggiamente l’oggettiva proporzionalità terapeutica e le istanze soggettive del paziente con riferimento alla percezione della sofferenza) e la giustificazione del “lasciare morire”, con accompagnamento palliativo (anche con sedazione palliativa continua profonda), nelle condizioni di consapevolezza del rifiuto e rinuncia delle cure e nel contesto di una relazione paziente-medico centrata sulla reciproca fiducia. La scelta consapevole del paziente, riguardo al non inizio o alla sospensione di trattamenti, cioè la possibilità di rifiutare o rinunciare alle cure, deve essere sempre garantita, in quanto è riconducibile alla coscienza personale che non è e non può essere comprimibile; analogamente il medico deve essere libero in scienza e coscienza di accogliere o no le eventuali richieste.

La richiesta consapevole di rifiuto o di rinuncia alle cure potrà essere quindi rispettata attuando una piena libertà di cura, consentendo cioè sempre al paziente di scegliere il proprio medico di riferimento, per una reciproca e libera condivisione di percorsi assistenziali. Lo scivolamento dal “lasciare morire” (che riconosce il limite dell’intervento medico sul corpo del paziente, a condizione di piena consapevolezza delle conseguenze) all’“agevolare la morte” (che legittima la richiesta del malato al medico di aiuto nel suicidarsi), oltre a segnare una trasformazione inaccettabile del paradigma del “curare e prendersi cura”, su cui da sempre si fonda la professione medica, non tiene in adeguata considerazione la particolare vulnerabilità dei malati che vivono condizioni di vita che, a causa delle tecnologie ma anche senza le tecnologie, sono ritenute soggettivamente, e forse anche socialmente, non degne di essere vissute. Di fronte a tali richieste, che vanno ascoltate e comprese, la risposta non deve essere la proposta o messa a disposizione di mezzi, farmacologici o tecnologici, per mettere in atto l’intento di uccidersi, ma l’offerta d’aiuto ad affrontare la sofferenza e il dolore, in una logica solidaristica e di sostegno anche psicologico.

In questo senso ciò che deve essere implementato è l’efficace ed equo accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore, oltre che un’adeguata formazione dei medici, personale sanitario e psicologi alla comunicazione con i malati in condizioni estreme. Le cure palliative, le terapie del dolore e l’assistenza medico-psicologica alla fine della vita (oltre auspicabilmente alla vicinanza umana solidale) sono in grado di prevenire efficacemente le richieste suicidarie e garantiscono il fondamentale e prioritario diritto di ogni malato ad essere curato e preso in cura, anche nel contesto di situazioni patologiche gravissime o di fine vita.

*Componente Comitato Nazionale per la Bioetica, già Senatore

 

 

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