di Rosaria Capacchione*
Una premessa e una domanda: l’Asi nasce per promuovere e progettare una via per lo sviluppo industriale del territorio, indicando una strada e una scaletta di priorità capaci, l’una e l’altra, di indirizzare scelte di programma capaci di creare occupazione e ricerca; ma, negli anni, ha tradito il suo mandato, fallendo sia nei programmi sia negli indirizzi e trasformandosi, con differenti responsabilità, in un carrozzone gestito al solo fine di convogliare finanziamenti che non hanno creato né sviluppo né occupazione, diventando esclusivo pretesto per la gestione, che peraltro si è rivelata fallimentare per le casse pubbliche, di un ente inutile e la spesa di risorse che avrebbero dovuto essere impiegate in ben altra maniera. Una bocciatura che riguarda l’Asi di Terra di Lavoro, di cui ci stiamo occupando oggi, ma anche altri enti simili che già da tempo, in altre realtà territoriali, coma la Basilicata o la Sicilia, hanno avviato le procedure per la definitiva dismissione. Valutazione fatta già da anni anche dal Pd della Campania che, in più occasioni, ne ha proposto la chiusura. In questo contesto, la scelta fatta dal Pd provinciale di Caserta di farsi parte attiva nella nomina dei nuovi organismi dirigenti dell’Asi è anacronistica e non è condivisibile sul piano politico e gestionale. Dal punto di vista politico non è comprensibile l’apparentamento con Forza Italia, partito che ha rappresentato e continua a rappresentare interessi e posizioni nella società di Terra di Lavoro non sovrapponibili a quelli del popolo e dei militanti del Partito Democratico. Il Pd è nato per rinnovare contenuti e metodi dell’azione di rappresentanza e di governo e per trasformare la società, e tale compito è tanto più urgente nella nostra provincia. L’impoverimento del tessuto produttivo, l’assenza di crescita economica e il mancato inserimento di centinaia di migliaia di giovani e donne nel mercato del lavoro sono stati senz’altro favoriti, in questa provincia, da una gestione della cosa pubblica lassista, priva di etica, che ha sprecato risorse e opportunità per favorire clientele e malaffare. Tutto ciò non consente alcuna condivisione con le forze politiche che in questi ultimi anni hanno così mal gestito gli interessi di Terra di Lavoro. Tale preoccupazione è ancor più acuita dalle note vicende che hanno interessato e interessano molti gangli della Pubblica Amministrazione, partendo dalle aziende sanitarie e finendo a molti enti locali, con evidenti infiltrazioni della camorra nella gestione attraverso appalti e affidamenti di lavori a imprese che non hanno mai nascosto il proprio interesse per le aree industriali e per la loro eventuale vendita o un proficuo cambio di destinazione d’uso. Quindi la domanda: perché avallare l’esistenza in vita dell’Asi di Terra di Lavoro? La questione morale – La questione legalità – e il caso recentissimo dell’indagine su Roma capitale ne è la dimostrazione – diventa il discrimine obbligato per la collocazione politica del Pd, con nettezza e senza tentennamenti, per garantire le condizioni minime per lo sviluppo e la crescita del nostro territorio. Che, lo ricordiamo, sta anch’esso pagando il prezzo delle commistioni tra classe politica e camorra proprio nella gestione di enti strumentali e di comparti influenzati dalle varie emergenze che affliggono questa regione: dai rifiuti all’occupazione. Con il voto espresso in occasione dell’assemblea AsI si è, dunque, persa un’occasione. Il declamato rinnovamento non ha certo riguardato la formula politica e le alleanze in seno al consiglio di amministrazione, che ha seguito nella sua composizione una logica spartitoria in perfetta continuità con quanto si era inteso condannare della precedente gestione, per cui anche le professionalità espresse non possono essere valutate al di fuori di questa prioritaria cornice politica. Cda che, vale la pena di sottolinearlo, si è insediato sotto l’alea di una grave illegittimità: l’Anac, nel 2013, aveva già chiarito che i sindaci, di qualunque Comune, anche di poche centinaia di abitanti, non possono far parte degli organismi di gestione degli enti strumentali. Gravi, inoltre, risultano le argomentazioni di chi, tra noi, giustifica quanto accaduto facendo riferimento a un accordo quadro tra le forze politiche provinciali per il governo di tutti gli enti strumentali. E ancor più ingiustificabile è il maldestro tentativo di attribuire valutazioni di merito politico agli amministratori locali, tra l’altro non tutti appartenenti al Partito Democratico: una cosa è l’autonomia nelle scelte gestionali, altra è l’intestazione delle linee politiche. Chi dalla linea politica che, lo ribadiamo – e lo ha ribadito lo stesso Matteo Renzi nell’assemblea di domenica – mette la questione morale al primo posto, con la cesura netta e irreversibile rispetto alle tentazioni affaristiche di talune componenti dello stesso partito, non dovesse sentirsi rappresentato non è obbligato a militare nel Pd. Le prospettive – Per operare una seria discontinuità bisogna rivedere profondamente la funzione degli enti strumentali e avviare una seria verifica della loro utilità. Da questo punto di vista appare chiaro anche a un osservatore distratto di quanto questi luoghi siano stati improduttivi di scelte strategiche in grado di tutelare un interesse collettivo, nel caso dell’Asi la promozione dello sviluppo industriale. Dire che vanno aboliti non basta, anzi risulta un’affermazione vuota di significato e contraddittoria, essendo la continuità con il passato non nei nomi (o almeno non in tutti i nomi) ma nel metodo consociativo che ha impropriamente avallato il ruolo autonomo di alcuni sindaci, iscritti o meno al partito, in rappresentanza dell’intero Pd provinciale. Segnali di questa male interpretata autonomia già si erano visti in occasione di altre decisioni simili degli ultimi mesi (una per tutte, a livello regionale, le nomine Gori), e forse hanno incoraggiato a proseguire sulla stessa strada, fino al disastro attuale. Tutto ciò rivela una carenza di direzione strategica preoccupante, in un’assenza perdurante di confronto e condivisione. E in questa occasione qualcuno ha inteso portare avanti il suo disegno, e su quell’accordo ha scelto di forzare la mano, nonostante la contrarietà di ben sette componenti della segreteria provinciale. A posteriori si può affermare ciò che si vuole circa le intenzioni e le motivazioni di chi era contrario, ma alla fine contano gli atti. E l’atto della votazione è un fatto da superare, per non impantanare il Partito Democratico in una questione che altrimenti rischia di avere rilevanti riflessi anche sulle imminenti elezioni regionali. Pertanto, alla luce di quanto espresso la conseguenza unica possibile è quella del ritiro della presenza del Pd dagli organi di gestione dell’Asi senza infingimenti e con determinazione; l’impegno da parte della rappresentanza politica del PD ad assumere tutte le iniziative, anche legali, per l’azzeramento della situazione; una chiara ed inequivocabile presa di posizione dei vertici del partito di completa distanza da quanto accaduto, così come già assunto dalla segreteria regionale, al fine di consentire il riposizionamento della prassi del Partito Democratico nel naturale alveo della legalità e della trasparenza.
*Senatrice Partito Democratico