Spunta un nuovo ‘lodo Calderoli’ sulla riforma della legge elettorale. Il vulcanico padre del ‘Porcellum’ tenta una nuova ipotesi di mediazione sul nodo del premio di maggioranza sul quale di fatto si è arenata la trattativa tra Pd e Pdl. Il senatore leghista, con una riformulazione in commissione Affari Costituzionali propone di abbassare la soglia oltre la quale si conquista il premio dal 42,5% al 40% e propone che se nessuno la raggiunge venga dato un ‘bonus’ di aggregazione al primo partito pari al 20% dei seggi conquistati.
Un meccanismo che almeno in linea di principio non dispiace al Pd che vede bene, come sottolinea Anna Finocchiaro, che il bonus venga svincolato da una quota fissa e rapportato ai seggi effettivamente conquistati dal primo partito. Quanto alla cifra della percentuale, il 20%, però, il Pd la ritiene “insoddisfacente”. E lo sarebbe anche al 25% (la cifra che in un primo tempo aveva ipotizzato Calderoli) perché il Pd chiede che si vada “sopra il 30%”. Un’ipotesi, quest’ultima, praticamente inimmaginabile per il Pdl che, con Maurizio Gasparri, giudica già “generosissimo” un ‘premietto’ del 20% dei seggi a un partito “che non è detto che poi governi: è praticamente un regalo”. Queste dunque le posizioni in campo che parrebbero inconciliabili. “Bisogna che nessuno dei due – avverte Calderoli – tiri troppo la coperta da una parte o dall’altra, sennò la coperta si strappa, ed è l’ultima che abbiamo a disposizione”. Ma tant’é. Per dirla con il presidente della commissione Carlo Vizzini, oggi sulla riforma “si è fatto un passo di lato”. E dunque, proprio per vedere di approfondire il tema, la commissione ha rinviato il voto sul punto che dovrebbe non esserci nemmeno domani. Si allungano, quindi, di fatto, i tempi per l’approdo in Aula del provvedimento. Il problema è che, dietro la questione delle soglie si cela quella del futuro governo. Che, ribadisce il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, “si deve sapere la sera del voto o altrimenti c’é lo tsunami”. Il segretario dei democrats, che si dice contrario all’election day (che di fatto, salvo ipotesi di voto politico anticipato, è saltato dopo la decisione del Viminale di far votare Lazio, Lombardia e Molise il 10 e 11 febbraio) dice che “un accordo è ancora possibile”. Tutto questo se, come sottolinea il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, si passa “dal regno del dire al regno del fare”. Ma le posizioni sono molto distanti. L’unico che sembra convinto della possibilità che si arrivi a un’intesa sembra, alla fine Beppe Grillo, che torna a denunciare il ‘golpe’ in atto sulla riforma. “Si metteranno infine d’accordo – dice caustico – per un premiolino al 10%, sbarramento al 40%, che nessuna coalizione supererà, e un bel Monti bis, con Pdl, pdmenoelle e Udc, tutti insieme per un alto senso di responsabilità verso il Paese. Proprio come adesso”.