Il Governo Monti ha già ottenuto risultati “di innegabile rilievo”. Ma guai a fermarsi proprio ora: i provvedimenti presi sono “tutti da consolidare” ed ancor più da “integrare” perché la fiducia dei Mercati si guadagna solo con misure coraggiose, con riforme che affrontino il lavoro e la crescita. Dalla cornice solenne del salone dei corazzieri del Quirinale Giorgio Napolitano pungola e motiva Governo e forze politiche a non girarsi indietro in una giornata difficile a causa delle divergenze su uno dei capitoli chiave delle riforme, quella del mercato del lavoro, ancora pericolosamente inceppata sul nodo dell’articolo 18.

Non lo cita mai, ovviamente, il capo dello Stato, ma da giorni lo scoglio dell’articolo 18 è al centro delle sue preoccupazioni. Napolitano decide di sfruttare la diretta televisiva per la chiusura delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia per un discorso tutto politico nel quale ha prima rivendicato il percorso da lui accompagnato per uscire dallo stato di “insostenibile tensione e catastrofico cedimento” in cui era caduta l’Italia “nella seconda metà del 2011”. Quindi è passato al prossimo futuro: “I risultati del governo Monti, superiori a pure possibili previsioni positive, sono tutti da consolidare ed integrare”, sia “definendo e applicando rigorosamente i provvedimenti ancora all’esame del Parlamento”, sia, ha spiegato, “spingendo fino in fondo l’impegno per la revisione e il contenimento della spesa pubblica, per la stabilizzazione di una prassi di pareggio di bilancio e per la riduzione del Debito pubblico”. Ma tutto questo non basta ancora ai Mercati ed all’Europa, ha ricordato il presidente della Repubblica. Bisogna “integrare” questo percorso “con misure politiche per il rilancio della crescita, al momento solo avviate in sede nazionale ed annunciate in sede europea”. Chiaro il monito di Napolitano alle forze di maggioranza “più responsabili” che ben sanno come esista “l’assoluta necessità di continuare senza cadute e senza regressioni nel cammino intrapreso”. Solo così una politica che ha disperato bisogno di “comportamenti trasparenti” e di un salto deciso nel livello di “moralità pubblica” potrà “varare riforme istituzionali condivise da troppo tempo eluse”. E nessuno abbia paura, è la conclusione del capo dello Stato, di essere “svalutato o marginalizzato” nell’aderire alle politiche europee, a cedere a Bruxelles piccole porzioni della propria sovranità. Paure insensate se si pensa che la vecchia Europa rappresenta oggi solo “il sette per cento della popolazione del mondo”: un nano politico che sta diventato anche una formica economica e che richiede “una sempre più stretta integrazione europea”, anche con forme “di sovranità condivisa”.

 

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