di Nicola del Piano

Il 22 novembre è passata al Parlamento rumeno una nuova legge che concede a tutti i sindaci del Paese diritto incondizionato di vita e di morte sui cani randagi della propria città. Rimandato più volte per le polemiche suscitate, non solo dalle associazioni animaliste, e arrivato fino al Parlamento europeo di Bruxelles, il voto ha visto 168 favorevoli e 111 contrari. Adesso bisogna aspettare la promulgazione del presidente della Repubblica rumena Traian Basescu.

Restando in Europa, ma spostandosi più ad ovest, esattamente nel nostro Paese, circola sempre più insistentemente la voce di una nuova tassa di possesso sugli animali domestici in quanto considerati “beni di lusso”, così come circolano voci sull’aumento di due o tre punti percentuali dell’Iva dei prodotti veterinari e dei prodotti per cani e gatti. Aldilà della considerazione semplice e d’impulso, ma non per questo meno vera, su come sia possibile, a pochi chilometri di distanza, una valutazione umana così differente che ci consenta di guardare ai cani, da un lato come “beni di lusso” e dall’altro, “elementi da abbattere”, ciò che vanno considerate, come sempre si fa in questa rubrica, sono le fonti normative. In Europa, il riconoscimento degli animali come “esseri senzienti” è stato introdotto nella Costituzione Europea del 2005, modificata dal Trattato di Lisbona che ha comunque mantenuto tale principio.

La stessa Romania figura tra i primi quattro Paesi che hanno già ratificato il Trattato, dopo l’approvazione di Ungheria, Slovenia e l’isola di Malta. Ad un livello più esteso, il 15 ottobre 1978 è stata firmata presso la sede dell’Unesco a Parigi la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, ove ogni singolo articolo va contro la legge che si vuol far approvare in Romania. Il Presidente Basescu, e gli altri organi istituzionali europei, non possono non tenerne conto. Per tornare all’Italia, di particolare importanza, ai fini di una consapevolezza generale riguardo il fenomeno del randagismo e della pericolosa piega che prenderebbe tale fenomeno con una normativa che considererebbe i cani come “beni di lusso”, è la legge n. 281 del 14 agosto 1991.

All’art. 1 vige il principio secondo cui “lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente”. Tale legge rappresenta, sul piano normativo e culturale, un’enorme testimonianza di civiltà da parte del nostro Paese, contro l’abbandono e contro ogni pratica che lo favorisce. Attraverso tale norma, i cani e i gatti non vengono certo messi alla stregua di una “cosa”, deriva a cui si andrebbe incontro se, in tal senso, si seguisse una visione dell’animale in senso aristotelico, una visione dunque antropocentrica che non appartiene alla nostra cultura giuridica.

Piuttosto, in tal senso, va considerata la visione di Pitagora, condivisa dallo stesso Ulpiano, padre della dottrina giuridica romana, e che fa rientrare gli animali nel ius naturale, nel diritto cioè che la natura insegna a tutti gli animali e che si fonda sull’affinità tra tutti gli esseri animati. Il concetto di “bene”, dunque, così come considerato dall’art. 810 del codice civile, non è in alcun modo applicabile al mondo animale, in quanto esautora gli stessi della loro dignità di esseri viventi e di esseri senzienti, come li definisce il Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia nel 2008.

 

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