“Possiamo insieme realizzare qualcosa di nuovo. Io vedo che questo ospedale ha delle enormi potenzialità, è capace di competere con i migliori ospedali della Campania e anche oltre, perché è oltre che vorrei arrivare io. C’è bisogno di impegno e c’è bisogno di una nuova e diversa mentalità. Bisogna cambiare registro”. Con queste parole ha esordito il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta Luigi Muto nell’incontro che ha avuto stamattina con i dipendenti, a un mese dal suo insediamento. Insieme con lui c’erano il direttore sanitario Giuseppe Matarazzo e il direttore amministrativo Roberta Sivo, che si insedierà quanto prima.
Amplissima è stata la risposta dei medici e degli altri operatori sanitari, che hanno affollato l’Aula Magna ben oltre la sua capienza, tra l’altro in un giorno centrale di ferie estive.
Dopo l’attestato di stima iniziale, il Direttore generale ha voluto leggere una delle tante lettere che gli sono pervenute, di cui molte da parte di cittadini comuni. Nella missiva scelta, il cittadino, dopo aver prodotto una serie di annotazioni critiche sui comportamenti interni all’ospedale, indirizza al manager le sue esortazioni affinché renda l’ospedale più efficiente, più accogliente e più umanizzato.
Dopo la lettura della missiva, il Direttore generale ha sottolineato che nella lettera esistono interessanti spunti su cui confrontarsi e alcuni passaggi gli sono sembrati appropriati e calzanti. Su queste tematiche ha chiesto che qualcuno intervenisse da parte dei presenti. Non sono mancati gli interventi di medici e operatori del comparto.
Nelle sue conclusioni, il manager ha voluto che fosse ben chiara l’opportunità di mantenere costantemente aperto un dialogo, utile per raggiungere i più alti obiettivi.
Ecco la lettera:
Egregio Avvocato,
ho appreso da poco della sua nomina a direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta e, dopo le voci che con insistenza si sono rincorse circa il possibile commissariamento della struttura per illegittimità riscontrate nella sua gestione da un’apposita commissione d’accesso, accolgo la notizia dell’avvio di una gestione ordinaria con soddisfazione e molta, moltissima speranza.
Ciascuno di noi casertani (parlo di quelli che in città ci abitano, ma anche di quelli che vivono in provincia) è stato protagonista di eventi ed esperienze che si intrecciano con la storia dell’ospedale (anzi, del ‘civile’, come ancora siamo abituati a chiamarlo). Non c’è nessuno che nei suoi reparti non abbia vissuto avvenimenti belli e bruttissimi, felici e dolorosi, diretti e indiretti: nascite, morti, accertamenti diagnostici, operazioni.
Io, per esempio, ricordo in modo vivido la gioia emozionata della nascita del mio primo nipote; richiamo con facilità alla mente l’ansia e la preoccupazione per il mio primo, banale intervento quando ero ancora bambino; rievoco nei miei incubi la frustrazione e la disperazione per la dolorosa consunzione prima, e, poi, per la morte di mia mamma; e tanto altro ancora.
Lo conosciamo tutti, il nostro ospedale. E conosciamo tantissime persone che ci lavorano. La maggior parte, signor direttore, fa il proprio dovere con coscienza e con la massima possibile dedizione, anche in condizioni logistiche e operative spesso difficili. Eppure, soprattutto negli ultimi tempi, sono sempre più numerosi i dipendenti (medici, parasanitari, amministrativi) che sembrano arrancare, svolgere a fatica (e, starei per dire, a malapena) il proprio compito, piegati da una sorta di muta rassegnazione al peggio, incapaci di reagire e di rivendicare con forza la dignità e l’autonomia del proprio ruolo e la responsabilità delle funzioni svolte. Come se l’ospedale fosse stato avvolto da una sorta di cappa che imprigiona le energie più fresche, piega le legittime ambizioni dei più meritevoli, consacra al successo chi non ha altri meriti se non l’appartenenza a questa o quella fazione che, con alterne fortune, hanno in pugno la gestione di uno dei più grandi nosocomi della nostra regione.
Io mi auguro che la sua amministrazione, signor direttore, marchi una visibile e decisa inversione di tendenza, applicando in particolare due regole rivoluzionarie: quella secondo cui qualunque scelta o comportamento soggiace soltanto all’interesse dei cittadini e, soprattutto, di chi è malato; e quella che premia esclusivamente il merito. L’applicazione di questi due semplici e in fondo banali canoni avrebbe una portata di per sé eversiva e rimetterebbe in moto la maggioranza operosa e silenziosa dei dipendenti dell’azienda, dando a essi fiducia e speranza.
Se chi viene da lei non avrà bisogno di farsi annunciare dal politico di turno; se l’ascolto da lei prestato sarà attento, vero e non frettoloso e sussiegoso; se, di contro, lo stesso ascolto sarà negato a progettualità non perseguibili e a vanesi interlocutori; se l’affermazione delle proprie idee verrà resa libera e posta al riparo da vendette o meschine ritorsioni; se chi fa e vale sarà incentivato a operare e protetto dalla reazione dei conservatori che vogliono mantenere lo status quo e le proprie rendite di posizione; se tutto ciò si avvererà, lei, signor direttore, avrà già vinto, a dispetto di cifre, di numeri, di statistiche o di altre fredde risultanze contabili e burocratiche.
Cominci, per esempio, a dire ai suoi primari che non esistono posti letto propri, gestiti come strumento di potere e di contrattazione, e che tutti i posti letto, nei limiti della razionalità organizzativa necessaria, sono flessibilmente, fungibilmente a disposizione dei malati e dell’ospedale.
Ricordi ai medici della struttura che la sanità pubblica è, anzitutto, un servizio, e non un’occasione per coltivare il proprio orticello, drenando pazienti per propri interessi (più o meno occulti) o verso strutture private con le quali sono, a vario titolo, coinvolti.
Rammenti a tutti i dipendenti che i cittadini (i malati, soprattutto, ma in generale tutti gli utenti della struttura) hanno molti, moltissimi diritti, fra i quali, innanzitutto, quello alla dignità.
Sottolinei che un’accoglienza educata rende meno duro l’impatto con l’ospedale e sollecita, a sua volta, comportamenti civili e responsabili; che un sorriso apre squarci inattesi nella paura per la malattia, stimolando le capacità di reazione ad essa; che una rassicurazione, una parola, un cenno del volto, se capitano nel momento giusto, cambiano completamente la prospettiva di qualunque intensa e umana esperienza, come quella di chi deve accedere a prestazioni sanitarie o accompagna chi ne ha bisogno.
Raccomandi ai medici di utilizzare un linguaggio semplice, di non mostrare segni di insofferenza se vengono sollecitati ad esporre chiarimenti; di dire tutto ma con appropriatezza, delicatezza e continenza verbale. E non perché lo impone la legge, ma, prima ancora, perché lo esigono sentimenti di umanità e di pietas.
Esorti i dipendenti (soprattutto i medici con funzioni di responsabilità apicali o comunque a capo di strutture organizzative) a non aspettare soluzioni calate dall’alto, poiché in una congiuntura di generale crisi e di ristrettezze economiche, particolarmente avvertite nel settore sanitario (la nostra regione, lo ribadisca, è ancora commissariata per realizzare un piano di rientro dal deficit imposto dal governo nazionale), niente è regalato, tutto va conquistato e meritato. Chi sa, faccia. Chi può, operi. Chi ne è capace, si attivi. Esistono possibilità di finanziamento, e quindi di spesa, che aspettano solo di essere intercettate, e non esigono affatto organizzazione e attivazione verticistiche.
Infine, provi a realizzare, finalmente, una vera e autentica integrazione fra università e ospedale, evitando sospetti reciproci, tensioni, guerre fra bande: l’ospedale non sia né terra di conquista da parte degli universitari, interessati all’implementazione della connotazione assistenziale del loro potere accademico; né fortino a difesa di intrusioni esterne da parte di ospedalieri incapaci di misurarsi con l’accademia sul piano dei fatti e dei risultati. Ancora oggi, signor direttore, esistono nell’ospedale – a tutti i livelli – feudi gestiti con capricciosa e irresponsabile satrapia. Li abbatta.
Se farà tutto questo, o perlomeno se incomincerà a farlo, se dimostrerà di volerci quantomeno provare, avrà dalla sua l’appoggio fervente della silenziosa maggioranza dei dipendenti della azienda. Ma, soprattutto, la sincera riconoscenza dei cittadini e dei malati che verranno a curarsi lì, al ‘civile’ e, per chi ha fede, avrà la protezione dei santi patroni che all’ospedale danno il nome.
Caserta, 25 luglio 2014
Un cittadino casertano