Per saccheggiare la domus, i tombaroli hanno causato una frana sotterranea che ha distrutto per sempre altri possibili calchi dei cavalli. Incredibile ma vero. Ed è solo uno dei danni collaterali causati dai ladri di reperti archeologici di Civita Giuliana, località tra Pompei e Boscoreale dove sono tuttora sepolte diverse ville suburbane dell’antica città pompeiana. Lo racconta il brigadiere dei carabinieri Salvatore Sorrentino, che ha curato una fetta consistente dell’inchiesta che ha spinto la Soprintendenza di Pompei, in accordo con la Procura di Torre Annunziata, ad accelerare la campagna di scavi in quell’area. Ieri Sorrentino è stato testimone dell’accusa (il procuratore Pierpaolo Filippelli) nel processo in corso dinanzi al giudice Silvia Paladino che vede imputati Giuseppe e Raffaele Izzo, padre e figlio, ritenuti esperti tombaroli. «Purtroppo al nostro arrivo abbiamo trovato poco ha aggiunto Sorrentino perché quasi tutti gli oggetti erano stati portati via. I tombaroli avevano scavato lunghi cunicoli, rinforzati con spruzzi di cemento, sfondando le pareti della villa romana».

Per scegliere le stanze in cui cercare reperti, venivano fatti dei «sondaggi», piccoli fori praticati all’interno delle pareti. Gli ambienti più belli venivano saccheggiati anche degli affreschi murari, con interi pezzi di pareti tagliati e portati via con le inestimabili pitture romane. «Alcune di queste sono state sequestrate a Napoli dal Nucleo tutela patrimonio e corrispondono a quelle di Civita Giuliana ha raccontato il brigadiere ora sono custodite negli archivi. Altri frammenti ritrovati durante gli scavi corrispondono con i reperti sequestrati agli Izzo durante le indagini». Ieri, però, in aula è stato dato ampio spazio alle immagini, illustrate dal testimone. Sono stati riprodotti alcuni video e una cinquantina di fotografie scattate nell’area di Civita Giuliana. Molto suggestivi gli scatti all’interno degli angusti cunicoli, che partivano da casa Izzo per arrivare a bucare i diversi ambienti della domus sotterrata. Scavati tra terreno e lapilli, i tunnel sotterranei erano illuminati da un lungo filo elettrico con lampadine di ultima generazione. Lo scavo ad arco era rinforzato con spruzzi di cemento, ma i crolli non sono mancati.

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