Si è concluso con sette ergastoli e due condanne a 12 anni di reclusione il processo sull’omicidio di Luigi Barretta, assassinato nel 2005 nell’ambito di un’epurazione interna al clan Amato-Pagano di Secondigliano. Il tribunale di Napoli – gup Federica De Bellis – ha accolto le richieste del pm Maurizio De Marco e condannato coloro che sono stati ritenuti gli esecutori materiali e mandanti di quell’efferato assassinio. Barretta, esponente degli scissionisti appena 22enne, venne assassinato dal suo stesso clan, quello degli scissionisti, nel maggio del 2005, quando la faida tra gli Amato-Pagano e il clan Di Lauro andava concludendosi. Una decisione presa per punire quel giovane che si mostrava, scrivono gli inquirenti, «…ribelle e arrogante nei confronti di altri affiliati e dei vertici del clan…». Dopo averlo ucciso i sicari sistemarono il suo cadavere in un sacco dell’immondizia che venne poi scaricato nelle campagne del Casertano. Il «fine pena mai» è stato inflitto, a vario titolo, dal giudice lo scorso 20 gennaio, nei confronti di Carmine Amato, Ciro Caiazza, Lucio Carriola, Enzo Notturno, Carmine Pagano, Cesare Pagano e Salvatore Rosselli. Ai collaboratori di giustizia Antonio Caiazza e Carmine Cerrato sono stati invece inflitti 12 anni di reclusione – per il riconoscimento di un’attenuante e per il rito scelto – in relazione all’omicidio mentre non si è ritenuto di dover procedere nei loro confronti per quello che riguarda la contestazione relativa alle armi «perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione». Si tratta di una sentenza, particolare, quella emessa dal giudice per le udienze preliminari del 27esimo ufficio di Napoli, il quale ha tenuto di non tenere conto della «dissociazione» degli imputati invocata dagli avvocati.