Nicola del Piano
Tra poco meno di un anno, le porte degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari saranno definitivamente chiuse. Il 17 gennaio 2012, la Commissione giustizia del Senato ha infatti approvato all’unanimità la chiusura degli Opg entro la fine del marzo 2013. Il ricovero presso gli Opg rappresenta una sanzione penale e la nuova norma si pone all’interno di quel lungo e faticoso viaggio di civiltà, iniziato con Franco Basaglia, e denso di interrogativi da parte della società civile nei confronti di persone con disagio mentale.
La nascita e la vergogna dei nostri Opg si fondano, in sostanza, sugli inutili e per questo vani tentativi del nostro ordinamento a tentazione metafisica di spiegare e confondere i concetti di “pericolosità sociale” e “colpevolezza” attraverso quello del “libero arbitrio”. Tale ostacolo non è stato superato, è bene affermarlo sin d’ora, dall’emendamento del gennaio scorso. Come ha spiegato il Prof. Sergio Moccia ne “il Manifesto” del 15 febbraio, urge una seria riforma delle sanzioni penali che dia finalmente valore “ad un giudizio fondato sulla proporzione tra fatto di reato e sanzione”.
Per tanti, troppi anni, la cultura e il diritto italiani si sono lavati le mani dinanzi a propri cittadini malati, abbandonandoli a strutture carcerarie, quando invece le necessità di queste persone erano rappresentate da cure mediche. Già con la legge n. 180 del 1978, che impose la chiusura dei manicomi, regolamentando il trattamento sanitario obbligatorio, il “disagiato sociale” divenne “persona”. Seppur con innovazioni e pronunce costituzionali, è a quella legge del 1978 che si fa tutt’ora riferimento parlando degli Opg. L’emendamento del 17 gennaio 2012 e quindi il nuovo approccio alla materia, non si discosta completamente dal sistema, seppur qualcosa smuove. La struttura ove dovrà essere eseguita la misura di sicurezza del ricovero diviene, in tal modo, meno carceraria e più sanitaria.
Ancora una volta, dunque, si pone per l’Italia una sfida da portare avanti con forza. Occorre comprendere che il disagio psichico non significa automaticamente pericolosità sociale ed è questo il pregiudizio culturale che da oggi, e nei prossimi anni, la società civile italiana dovrà abbattere. E’ auspicabile, per concludere, che gli sviluppi dell’innovazione legislativa del gennaio scorso porteranno alla costituzione di degne strutture mediche, che svolgano il loro alto compito di cura verso persone malate. Un tentativo piccolo, ma significativo, sulla ancora lunga strada del riconoscimento di quei diritti del malato mentale propri di uno Stato civile.