Gli attuali colloqui “potrebbero essere l’ultima” possibilità per una tregua a Gaza. Lo ha dichiarato il segretario di Stato Usa Antony Blinken in Israele. “Questo è un momento decisivo, probabilmente la migliore, forse l’ultima, opportunità per riportare a casa gli ostaggi, per ottenere un cessate il fuoco e per mettere tutti sulla strada migliore per una pace e una sicurezza durature”, ha detto Blinken incontrando il presidente israeliano Isaac Herzog. Il segretario Usa ha quindi chiesto a Hamas e a Israele di non “far deragliare” gli sforzi per un cessate il fuoco. L’arrivo in Israele del segretario di Stato Usa Antony Blinken per promuovere l’accordo di tregua a Gaza e la restituzione degli ostaggi porta con sé due messaggi tra le righe: la sua presenza in Medio Oriente è possibile, dopo giorni di rinvii, perché al momento Iran e Hezbollah stanno tenendo in freddo la vendetta contro Israele. L’altro riguarda direttamente Benyamin Netanyahu, su cui sarà fatta una pressione eccezionale affinché i suoi paletti non impediscano “l’ultima possibilità per l’accordo con Hamas”. Il premier israeliano sa benissimo che cosa gli sarà chiesto e, com’è suo stile, ha messo le mani avanti con le dichiarazioni di domenica mattina nella riunione di governo: “Ci sono cose su cui possiamo essere flessibili e altre su cui non possiamo esserlo, e insistiamo su queste. Stiamo conducendo negoziati molto complessi – ha affermato – mentre dall’altra parte c’è un’organizzazione terroristica omicida, disinibita e ostinata. La pressione dovrebbe essere rivolta a Hamas e al suo leader Yahya Sinwar, non al governo israeliano”. Dichiarazioni a cui fa da contraltare il comunicato serale della fazione palestinese, che accusa il premier “di continuare a porre ostacoli all’accordo”. Mentre al contrario, si sottolinea, Gaza conferma “l’impegno al piano del 2 luglio chiedendo ai mediatori di assumersi la responsabilità e obbligare Israele a rispettare quanto concordato”. La missione di Blinken a Gerusalemme si preannuncia burrascosa, ma sulla bilancia i pesi sono tanti, a cominciare dalle elezioni negli Stati Uniti e dal desiderio di Joe Biden di lasciarsi alle spalle un capitolo che entri nei libri di storia. “I negoziati sul cessate il fuoco? Sono ancora in corso, non molliamo, la tregua è ancora possibile”, ha detto in nottata il presidente statunitense. Bibi dovrà confrontarsi con argomenti che volano più in alto della sua vicenda personale e politica. E infatti, non appena Blinken ha messo piede in Israele, il lavoro ai fianchi del premier si è fatto vedere. A cominciare dalla richiesta fatta direttamente dal ministro della Difesa Yoav Gallant secondo cui “le decisioni devono essere prese dal gabinetto di sicurezza” (non dal primo ministro), poiché la legge israeliana lo prevede e “le conseguenze potrebbero portare a una guerra nella regione”. Questa è un’operazione che serve a spostare la linea rossa di Netanyahu: il controllo del’Idf sul corridoio Filadelfia, tra Gaza e Egitto, così come sul valico di Rafah e su Netzarim, la strada che taglia la Striscia da nord a sud. Punti già nettamente respinti da Hamas. Il team negoziale di ritorno da Doha – riferisce Channel 12 – è stato chiaro con il premier: “O il controllo di Filadelfia, o l’accordo”. Quindi, il segretario di Stato americano sul tavolo di Netanyahu presenterà l’argomentazione dei mediatori: una clausola che dà a Israele il diritto di riprendere le ostilità militari contro Hamas se le armi vengono spostate nel nord di Gaza, con l’Idf tenuto a ritirarsi da Netzarim e dal corridoio Filadelfia per le sei settimane della prima fase. Nel ginepraio delle trattative, tra indiscrezioni e fughe di notizie, fonti egiziane hanno affermato che Israele ed Egitto stanno comunque lavorando su questi punti. Infatti domenica sera una delegazione israeliana a livello operativo è partita per la capitale egiziana. Se Blinken, prima di spostarsi al Cairo, riuscirà a sormontare i veti di Netanyahu, i colloqui passeranno alla fase successiva. Già scritta nella “proposta ponte” degli Usa, con i nomi degli ostaggi ancora in vita da rilasciare. Per prime le donne, comprese le soldatesse. Tra questi anche l’etiope-israeliano Avera Mengistu e il beduino israeliano Hisham al-Sayed, civili prigionieri a Gaza da dieci anni. In cambio Israele libererà pure 47 detenuti palestinesi, rilasciati nell’accordo del 2011 e poi nuovamente arrestati. Momenti complessi che dalla diplomazia passano alla vita degli israeliani, che proprio domenica sera festeggiano la vigilia di Tu Bab, il San Valentino nazionale. Sui social i messaggi più emozionanti sono per quei fidanzati, mariti, compagni rapiti il 7 ottobre. Noa Argamani, la ragazza simbolo degli ostaggi salvata a giugno dalla prigionia, ha scritto un post per il suo ragazzo Vinatan Or ancora nelle mani di Hamas: “Ci auguro tanti altri giorni d’amore insieme”. La compagnia aerea statunitense American Airlines ha sospeso le sue operazioni in Israele e non ci saranno voli di andata né ritorno fino all’aprile del 2025: lo scrivono alcuni media israeliani, fra cui Haaretz.

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