Paragonare l’affetto che ti da un essere vivente, un cane o un gatto, ad una proprietà da tassare è qualcosa di aberrante. Non ci si stupisce però che una simile proposta arrivi dal parlamento italiano, ormai lontano anni luce dalla realtà del paese. Una casta arroccata sui propri privilegi che, facendosi scudo di un governo tecnico, pensa di poter far ingoiare alla popolazione qualsiasi tipo di provvedimento. E così mentre non si toccano i privilegi dei partiti e di chi siede in parlamento, quelli delle aziende o della chiesa le agenzie battono la notizia “spunta tassa comunale su cani e gatti”.
Assurdo, aberrante. Pensare di far pagare le spese per il contrasto al randagismo a chi compie un atto d’amore, magari togliendo dalla strada un povero meticcio che vivendo in strada sarebbe andato incontro ad una morte certa. Una tassa che sa di beffa soprattutto nel meridione d’Italia e in Campania dove le amministrazioni comunali e le Asl, molte volte, hanno dimenticato i propri obblighi di legge, lasciando il contrasto del randagismo alle associazioni di volontariato e al movimento animalista. Privati cittadini che, senza badare a spese e tempo, decidono di dedicare la propria esistenza agli animali. Senza di loro a sollecitare campagne di sterilizzazione e di adozioni la piaga del randagismo raggiungerebbe livelli esponenziali e incontrollabili. In Italia, secondo alcune stime, una famiglia su tre ha un animale domestico in casa. La tassa, quindi, potrebbe rappresentare una miniera d’oro per i comuni che devono fronteggiare l’emorragia dei fondi statali. Ma fare ciò sulla pelle degli esseri viventi è inaccettabile soprattutto se da quando Berlusconi è stato sostituito da Monti non sia stato preso un solo provvedimento che colpisca i privilegiati e non la classe media.
Angelo Golia