NAPOLI – La rassegna Teatri di Pietra in Campania 2012, nel suggestivo sito di Villa Imperiale Pausilypon a Napoli, ospiterà, giovedì 26 luglio 2012 alle ore 21.30, lo spettacolo Il Rosario, dal racconto di Federico De Roberto, progetto, drammaturgia e regia di Clara Gebba ed Enrico Roccaforte.

Presentato da Teatro Iaia, l’allestimento si avvale della presenza, in scena, di Filippo Luna e di Nenè Barini, Germana Mastropasqua, Alessandra Roca. Le musiche originali e la direzione musicale sono a cura di Antonella Talamonti, i costumi di Grazia Materia, il disegno luci di Luigi Biondi. L’operazione drammaturgica realizzata su Il Rosario di Federico De Roberto ha offerto la possibilità di dar vita ad una pièce che fondesse musica e teatro. L’universo sonoro cui si riferisce è quello della “musica di tradizione orale” italiana, che è tradizionale e contemporanea al tempo stesso, sacra e profana, potente ed emozionante. Questa musica ancora vive in Italia, dal nord al sud, perché ci sono delle comunità che la cantano “in funzione”, cioè nei propri riti, come parte irrinunciabile della propria identità. E’ la capacità di questa musica di raccontare il reale, di ispirarsi sempre a ciò che si vive in quel dato momento: lavoro, rito, amore, affermazione di diritti, critica del potere. Il racconto narra la storia di una madre e quattro figlie e, attraverso questa vicenda, fa una riflessione complessa sul potere politico, religioso e familiare. “Il nostro lavoro drammaturgico – spiegano Clara Gebba ed Enrico Roccaforte – che modifica il testo, eliminando tutti gli elementi esterni alla famiglia e cercando di non tradirne la sostanza, ci ha rivelato un’opera dal linguaggio e dalla struttura piena di spunti musicali e ritmici sorprendenti. Leggendolo, abbiamo colto una metafora attualissima della dialettica oppressiva tra potere immobile e arte, possibile fonte di cambiamento”. Lo spettacolo assurge a riflessione sulla nostra situazione attuale, in cui il teatro stesso rischia di scomparire, soffocato dai tagli, dalla politica, dalla televisione. Proprio questo fa credere che sia ancora utile fare teatro e innalzare un canto di dissenso al di sopra del vuoto, in cui, a tratti, sembriamo essere precipitati. Il testo del 1940 di Federico De Roberto, che in virtù della sua precisione ritmica rimane uno di quei racconti stagliati nella roccia. Diventa il basso continuo di una ricomposizione drammaturgica, dove tutti gli elementi – corpo, voce, costumi, materiali scenici, impasti di dialetti diversi – si mettono insieme, per comporre una partitura che non ha bisogno di slogan per praticare il dissenso e denunciare il rischio di estinzione della cultura e dell’arte. Il testo del 1940 di Federico De Roberto, che in virtù della sua precisione ritmica rimane uno di quei racconti stagliati nella roccia, diventa il basso continuo di una ricomposizione drammaturgica dove tutti gli elementi – corpo, voce, costumi, materiali scenici, impasti di dialetti diversi – si mettono insieme per comporre una partitura che non ha bisogno di slogan per praticare il dissenso e denunciare il rischio di estinzione della cultura e dell’arte.

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui