La violenza contro donne e ragazze continua a essere un fenomeno preoccupante in tutto il mondo: una donna su tre subisce qualche tipo di violenza di genere e ogni 11 minuti una donna o una ragazza viene uccisa da un familiare. Ma c’è ancora molto da fare, come dimostrano i dati ISTAT elaborati dalle blogger di Angolodonne.it, in base alle chiamate effettuate al numero 1522, il numero antiviolenza a cui tantissime donne (ma anche, in piccolissima parte, uomini come vedremo) continuano a rivolgersi. Vediamo il quadro della situazione analizzando i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica.

Rapporto ISTAT: il picco di violenze durante il lockdown
Le chiamate raccolte al numero antiviolenza prendono in considerazione i dati raccolti a partire dal 2018, che seguono un andamento gradualmente in discesa almeno fino al 2020, quando sono state registrate 2.103 richieste di aiuto. Il quadro sembra essere rapidamente precipitato in concomitanza con il lockdown, che ha portato le donne a trascorrere molto più tempo in casa, aggravando molte delle dinamiche familiari che sfociano in azioni violente. A partire dal primo trimestre del 2020 le chiamate al 1522 aumentano vertiginosamente, fino a toccare il picco delle 4.310 chiamate annue all’inizio del 2021. La situazione sembra poi “normalizzarsi” nel corso del 2021, registrando una diminuzione dei casi, che scendono alle 2.966 segnalazioni del 2022.

L’identikit delle vittime
Il report ISTAT rivela molte altre informazioni circa le donne che denunciano gli abusi subiti, come ad esempio la provenienza geografica. La regione che ha il triste ruolo di capofila è la Lombardia, con 495 chiamate registrate nel primo trimestre nel 2022, seguita da Lazio (388) e Campania (295). All’estremo opposto Basilicata (16), Molise (13) e Valle d’Aosta, anche per via della bassa densità abitativa di queste piccole regioni. A dimostrazione del fatto che non sono soltanto le donne a subire la violenza di genere, c’è il dato che anche il 2% degli uomini si è rivolto al numero antiviolenza nel primo trimestre del 2022, a fronte del 97,9% delle donne. Quella nei confronti degli uomini è una violenza considerata ancora un tabù nella nostra società, per via dell’impostazione patriarcale tipica dell’Occidente, motivo per cui gli uomini fanno ancora più fatica a denunciare queste situazioni. La stragrande maggioranza delle vittime risulta avere un’età compresa tra i 35 e i 45 anni (39,5%), sebbene anche il 2% dei minorenni si rivolga al 1522. A subire le violenze sono soprattutto donne nubili (42,7%) o coniugate (33,7%), per la maggior parte in possesso di un’occupazione (35,7%) e di nazionalità italiana (83,7%). In quanto al titolo di studio, la maggior parte degli interpellati preferisce non rispondere, ma sappiamo che il 23% dichiara di essere in possesso di una licenza media superiore e il 13,3% di una laurea. Il fatto che si tratti soprattutto di violenze domestiche, è dimostrato dal fatto che il maltrattante è il marito/moglie della vittima nel 31% dei casi, ma anche il suo convivente nel 13,9% dei casi e l’ex partner nel 10,9%. Purtroppo, tra gli autori degli abusi spiccano anche i genitori (5,3%), i figli (4,3%), fratelli e sorelle della vittima (2,7%).

Le violenze sulle donne in presenza di figli
Le vittime che nel primo trimestre del 2022 hanno segnalato gli abusi sono perlopiù vittime senza figli (37,8%), seguite dalle vittime con figli minori (30,1%) e con figli maggiorenni (23,9%). Purtroppo anche i figli hanno un ruolo passivo nella violenza, perché assistono alla violenza nei confronti del genitore o, peggio ancora, ne sono vittime anche loro. Il 34,4% delle vittime dichiara che i figli assistono alle violenze ma non ne subiscono, mentre il 13,2% subisce a sua volta le violenze del maltrattante. Nel 32,1% dei casi, invece, i figli non assistono né subiscono alcun tipo di violenza. Il 3,6% delle vittime dichiara di non sapere se i figli vengono maltrattati. Le conseguenze nei confronti dei figli sono disastrose, tra inquietudine (26,3%), aggressività (5,3%) e disturbi del sonno (1,1%). Non è insolito il verificarsi di un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del genitore maltrattato, con comportamenti di accudimento registrati nel 4,7% dei casi.

Il ritratto dell’abusatore
Cosa dicono i dati raccolti in merito all’abusatore? Si tratta nel 90,6% dei casi di un uomo di nazionalità italiana, appartenente alla cerchia familiare, in quanto si tratta del marito nel 39,1% dei casi o del compagno nel 36,3%. La distribuzione anagrafica è piuttosto omogenea, con una prevalenza del target 35-44 anni (21,5%) e 45-54 anni (22,4%). Nel 47,2% dei casi si tratta di un uomo in possesso di un’occupazione stabile, disoccupato (12%) o pensionato (10%), in possesso di una licenza media superiore (54,8%) o inferiore (23,3%) dei casi. Ma non mancano casi di abusatori laureati nel 19,4% dei casi.

Violenza fisica, psicologica e sessuale: i mille volti della violenza
La violenza personale può manifestarsi in una molteplicità di modi diversi, spesso anche più dannosi della violenza fisica. Le percosse rientrano tra gli abusi più denunciati dal 44,1% delle vittime nel primo trimestre del 2022, seguite dalle violenze psicologiche (34,1%), che possono manifestarsi sotto forma di offese, insulti, umiliazioni, svalutazioni, possessività e limitazione delle libertà personali. Seguono le violenze sessuali (6,1%), che vengono perpetrate anche nei confronti del proprio partner e le minacce (5,8%), che si verificano soprattutto quando la donna è in una posizione di dipendenza economica o ha paura di perdere i propri figli. Molestie sessuali (1,5%) e violenze economiche (1,3%), chiudono questo triste quadro. Teatro delle violenze è soprattutto la propria casa, nel 70,1% dei casi. Le vittime hanno dunque un rapporto molto stretto con il loro abusante, che può essere il marito, il compagno o uno dei loro consanguinei. Molto allarmante anche il dato secondo cui il 2,1% delle violenze avrebbe luogo sul posto di lavoro, in strada (1,3%) e in casa altrui (3,1%). In merito alla frequenza della violenza subita, le vittime riferiscono di abusi continuativi, che persistono anche da anni nel 56,5% dei casi, mentre nel 22,7% dei casi gli episodi di violenza erano in atto da diversi mesi. Ma c’è anche chi si rivolge al numero antiviolenza in presenza di un unico episodio abusante (4,3%), a dimostrazione del fatto che, in presenza di una persona violenta, è importante agire da subito.

Le conseguenze sul comportamento delle vittime
Gli episodi violenti, di qualsiasi tipo essi siano, producono sempre delle serie conseguenze a livello psicologico, tanto da portare la vittima a modificare i propri comportamenti per il terrore di dover rivivere la violenza. La maggior parte delle donne prova un grave stato di soggezione (23,9%), ha paura per la propria incolumità (23,8%) e avverte una forte ansia (20,4%). Nelle situazioni più gravi, la donna ha paura per l’incolumità dei propri cari (1,3%) e ha persino paura di morire (3,5%), cosa che spesso porta ad una situazione di subordinazione totale nei confronti dell’abusatore. Ma ci sono anche i casi in cui una donna si sente molestata, ma non effettivamente in pericolo (9,7%). A dimostrazione del fatto che sono ancora poche le donne che trovano la forza di reagire e cercare il supporto presso le istituzioni, c’è il dato preoccupante secondo cui soltanto il 4,3% delle vittime denuncia gli episodi di violenza. Tra i motivi della mancata denuncia risalta il timore di non voler compromettere la famiglia (16,6% dei casi), la paura del violento (16%), la mancanza di un posto sicuro dove andare (8,6%) o il timore di deludere la famiglia (3,4%). Purtroppo, come dimostrano i dati, ad ostacolare la denuncia c’è anche sfiducia nei confronti delle istituzioni (2,3%), in particolare delle Forze dell’Ordine, che invitano la vittima a non denunciare (3,5%), oppure perché c’è già stata una denuncia ma non è successo niente (0,2%). Tra le pochissime donne a denunciare sono anche in molte a ritirare la denuncia. I motivi? Su tutte la “riconciliazione” con il maltrattante (25,8%), che spesso viene perdonato anche se poi reitera puntualmente il comportamento violento; la paura di ulteriori violenze (13,5%) e il desiderio di mantenere la famiglia unita (21,3%).

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