Il protocollo di Kyoto sopravvive. Ma l’impegno a ridurre ulteriormente le emissioni di gas serra resta solo da parte dell’Unione europea e di qualche altro Paese, una minoranza pari a circa 15-20% del totale. Restano ancora fuori i Paesi ‘grandi inquinatori’: quelli sviluppati come Usa, Canada, Giappone, Russia e Nuova Zelanda ma anche quelli emergenti Cina (il primo Paese inquinante), India, Brasile, Messico e Sud Africa.

Dopo due settimane di difficili negoziati, andati avanti oltre la scadenza fissata per ieri, i 194 Paesi che hanno partecipato alla 18/a Conferenza sui cambiamenti climatici a Doha, in Qatar, hanno trovato un accordo per estendere fino al 2020 il protocollo di Kyoto (la cui prima fase scade il 31 dicembre prossimo), per combattere il surriscaldamento del pianeta che potrebbe intensificare uragani, inondazioni e aumento del livello del mare. I negoziati hanno arrancato e si sono chiusi con un metodo “inusuale” da parte della presidenza del Qatar, senza la consueta votazione. “”Le decisioni adottate riflettono, nel loro insieme, la volontà delle parti”, ha spiegato il presidente della conferenza, Abdallah al-Attiya, suscitando la contestazione della Russia, che ha ritenuto il metodo ‘forzato’ dopo che il presidente ha dichiarato come adottato in tutta fretta una serie di testi. La Russia è stata critica in questi negoziati anche perché vuole limiti meno stringenti sui permessi di emissioni di Co2 non utilizzati noti come ‘hot air’. I grandi Paesi sviluppati non hanno voluto prendere impegni immediati sulla riduzione di anidride carbonica né sugli aiuti ai Paesi emergenti e in via sviluppo per la prevenzione dei danni provocati dai cambiamenti climatici e la compensazione dei danni subiti dopo catastrofi ambientali. Fra le ragioni anche la difficoltà dovuta alla crisi economica. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, spiega che “la conferenza di Doha é stata ‘ritardata e faticosa’” anche perché “ha pesato molto la caduta di tensione e di attenzione da parte dei Paesi che stanno fronteggiando la crisi economica”. Da un lato, osserva il ministro, “c’é la sfida della riduzione del consumo dei combustibili fossili mentre cresce nelle economie emergenti la domanda di energia, e dall’altro l’emergenza ambientale legata all’aumento dell’intensità e della frequenza degli eventi climatici estremi in tutte le regioni del pianeta”. Resta il fatto che “i cambiamenti climatici sono una parte importante e urgente dell’agenda economica globale”. Pur rimanendo lontani dagli obiettivi fissati 22 anni fa, c’é però la speranza che nell’arco di 2-3 anni i ‘Grandi inquinatori’ si convincano ad aderire ad un accordo globale di riduzione delle emissioni da firmare nel 2015 e che dovrà entrare in vigore nel 2020. A causa dei gas serra la temperatura del Pianeta si sta alzando a livelli che se superano la soglia dei due gradi aumentano il rischio di cambiamenti climatici molto più critici. “Non è stato un percorso facile – ha detto il commissario Ue all’Ambiente Connie Hedegaard – ma abbiamo lanciato un ponte e speriamo che ora possiamo andare piui” spediti”. Per il responsabile Clima e politiche europee di Legambiente, Mauro Albrizio, “é tutta in salita la strada tracciata a Doha per la transizione verso un nuovo accordo globale”. Mentre per la responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, Maria Grazia Midulla, “gli egoismi e i veti di alcuni paesi non fanno vincere nessuno ma fanno perdere tutti”. Per il segretario dell’Onu Ban ki-Moon l’accordo di Doha sul clima non è altro che una prima tappa sulla strada della riduzione delle emissioni di Co2: “Ma i governi devono fare di più”.

 

 

Ecco i principali punti dell’accordo raggiunto alla conferenza sui cambiamenti climatici di Doha: 1. Il secondo periodo di impegno sull’accordo di Kyoto, dopo la prima fase che termina a fine dicembre di quest’anno, si sviluppa da gennaio al 31 dicembre del 2020. Esso riguarda l’unione europea, la Croazia l’Islanda e otto altri Paesi industrializzati di cui l’Australia la Norvegia e la Svizzera che insieme rappresentano il 15% delle emissioni globali del gas a effetto serra nel mondo. In particolare la riduzione delle emissioni di Co2 dovrà proseguire con un range fra il 25 e il 40 per cento rispetto ai livelli del 1990. Ciascun paese riesaminerà i suoi obiettivi di riduzione dei gas entro il 2014; 2. Aiuti finanziari ai Paesi del sud per fronteggiare i cambiamenti climatici: il testo di Doha spinge i paesi sviluppati ad annunciare nuovi aiuti finanziari quando le circostanze finanziarie lo permetteranno e a sottomettere all’incontro sul clima del 2013 di Varsavia le informazioni sulle loro strategie per mobilizzare fondi per arrivare a 100 mld di dollari per anno entro il 2020. 3. riparazione delle perdite e dei danni causati ai paesi del sud per il riscaldamento globale: A Varsavia saranno decisi accordi istituzionali per rispondere alla questione. Questo punto è stato oggetto di forti discussioni tra i Paesi del sud (che si ritengono vittime delle azioni del nord che hanno alterato il clima) e gli Stati Uniti che temono che un meccanismo possa portare ad a richieste legali di risarcimento e non vogliono sborsare più di quanto già previsto dagli accordi. 4. Verso un accordo nel 2015: l’accordo di Doha riafferma l’ambizione di arrivare ad un protocollo o un accordo che abbia forza giuridica alla conferenza dell’Onu del 2015 per entrare in vigore nel 2020 e riafferma l’obiettivo di giungere a limitare l’innalzamento della temperatura a +2 gradi. Questo accordo riguarderà tutti i paesi e non solo quelli industrializzati compresi i grandi paesi emergenti e gli Stati Uniti.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui