Anche il primo venerdi’ di Ramadan si e’ trasformato in una giornata di sangue in Siria. ”Attivisti” non identificati citati dalla televisione satellitare Al Arabiya hanno parlato di ”decine di morti” a Hama, citta’-simbolo della rivolta, mentre l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riferito di almeno dieci persone uccise in altre localita’: sette a Irbin, vicino a Damasco, e tre a Homs. Da parte loro le fonti di stampa ufficiali parlano di altri morti tra le forze governative, che affermano essere impegnate non nella repressione di pacifiche manifestazioni ma contro ”gruppi di terroristi” che prendono ordini dall’estero. L’agenzia Sana riferisce che due agenti di polizia sono stati uccisi e altri otto feriti oggi in un’imboscata nella provincia di Idleb lungo la strada tra Maarat al Numan e Khan Shikhon. Mentre la televisione di Stato ha mandato in onda immagini delle strade deserte di Hama, affermando che i soldati e gli agenti dei servizi di sicurezza stanno ”lavorando per riportarvi la sicurezza e la vita normale”. La Sana aggiunge che nei giorni scorsi ”piu’ di 20 militari sono stati uccisi” in un attacco avvenuto contro il locale club degli ufficiali. Sul piano internazionale, dopo la sofferta dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiedeva ”la fine immediata di tutte le violenze”, la Russia ha lanciato un monito all’Occidente. Il rappresentante di Mosca presso la Nato, Dmitri Rogozin, ha detto che l’Alleanza atlantica sta pianificando un’operazione militare come in Libia e ha avvertito che la Russia ”si opporr… a qualsiasi scenario militare”. Ieri sera il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha auspicato che sulla Siria venga ”aumentata la pressione”, sottolineando che, secondo quanto ritiene Washington, la repressione ha causato finora la morte di 2.000 persone. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, 1.649 civili e 389 uomini dell’esercito e dei servizi di sicurezza sono rimasti uccisi nei quasi cinque mesi di rivolta. Secondo varie testimonianze, migliaia di manifestanti sono tornati oggi nelle strade in varie citta’ dopo le preghiere del venerdi’, nonostante l’intensificarsi della repressione nei giorni precedenti. ”Dio e’ con noi” era lo slogan di questa giornata, che ha visto oppositori chiedere la caduta del regime da Damasco a Daraa, da Deir ez Zor a Homs. Alcuni residenti di Hama sono riusciti a mettersi in contatto con i media stranieri utilizzando telefoni satellitari dopo l’interruzione delle linee telefoniche e dei collegamenti Internet imposta da alcuni giorni. Uno di loro ha detto alla televisione televisione satellitare Al Jazira che ”bombardamenti e spari di cecchini” sono continuati per gran parte della mattinata, mentre continua il blocco dell’erogazione dell’acqua e dell’elettricita’, il cibo scarseggia e ai fedeli e’ stato impedito di recarsi nelle moschee per le preghiere del venerdi’. ”Le forze governative continuano a sparare su chiunque si avventuri nelle strade”, ha detto la fonte. La televisione di Stato ha invece mandato in onda immagini di una citta’ apparentemente tornata alla calma dove carri armati rimuovono blocchi di cemento utilizzati bloccare le strade, detriti sull’asfalto, del fumo che si leva da un edificio indicato come una sede istituzionale presa d’assalto dai rivoltosi e un muro con grandi macchie di sangue. Le forze governative, ha sottolineato l’emittente, sono intervenute solo per porre fine all’attivita’ di bande armate. E a dimostrazione di queste affermazioni ha fatto vedere immagini di uomini in borghese armati durante i disordini. Uomini di cui e’ impossibile stabilire l’appartenenza e quindi se si tratti di insorti o di agenti dei servizi di sicurezza.

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