NAPOLI – Dalla tassa sul diametro della pasta in Giappone, alle rivoluzioni nei paesi arabi. Sono le piccole e grandi insidie che gli imprenditori italiani affrontano quotidianamente investendo sul mercato globale. Problemi che, sommati alla crisi internazionale,

però non hanno impedito al made in Italy di continuare a volare: il volume di esportazioni nei soli primi mesi del 2011 è infatti aumentato di oltre il 16%. E parte dei meriti di questo piccolo miracolo sono da attribuire all’opera di mediazione delle Camere di commercio italiane all’estero (Ccie), da ieri riunite a Napoli nella ventesima convention mondiale. “Evento importante – dice il presidente della Camera di commercio di Napoli, Maurizio Maddaloni – che rilancia la città, territorio favorevole agli investimenti e dalla forte vocazione al turismo e all’export”. E i delegati arrivati da tutto il mondo lavorano anche a questo, a nuove formule per facilitare gli scambi commerciali e per aumentare i trend delle esportazioni italiane che in questa prima tranche di 2011 sono già positivi. Secondo i dati di Assocamere, sono 180.000 le imprese italiane che esportano all’estero e nei primi otto mesi dell’anno l’export è cresciuto del 16,2%, con un incremento verso i paesi europei del 17,1% e in quelli extra-europei del 15,2%. Nella classifica di gradimento restano al top i prodotti legati allo stile e al made in Italy: vino, alta moda, beni di lusso, agroalimentare. Ma guai a dire che l’Italia è solo scarpe, vino e pizza. In Grecia, spiega il delegato Ccie Joannis Tsamichas, c’é un investimento di 1 miliardo e 500 milioni di euro per la realizzazione della metropolitana di Salonicco. Con l’Ungheria, aggiunge Maurizio Sauli, complice la tassazione sui profitti più bassa d’Europa (solo il 10% fino a 1 milione e 800 mila euro di guadagno) ci sono 8 miliardi di euro di interscambio soprattutto per i settori meccanici, chimici, di elettronica e alta tecnologia. Dal canto suo la Svizzera, che per numero di abitanti non supera la Lombardia, è il sesto paese per import di prodotti italiani e per il 2011, spiega Fabrizio Macrì, vola verso il quarto posto, superando Gran Bretagna e Stati Uniti. In Colombia, dice Luciano Paganelli, l’Italia va forte nel settore delle infrastrutture grazie ai milioni di dollari provenienti dal petrolio. E in Australia, aggiunge il delegato Massimo Perotti, si lavora ad appalti miliardari per la rete ferroviaria nel nord del Paese, a un progetto triennale nel settore energetico, mentre, piccola curiosità, sull’85% dei nasi australiani poggiano occhiali di produzione italiana. Ma i mercati internazionali sono anche pieni di insidie. In Giappone, per esempio, la Ccie presieduta da Francesco Formiconi, lavora per abolire una fastidiosa tassa sul diametro della pasta che colpisce gli spaghetti alla chitarra competitori dei nipponici noodles. Situazione decisamente più calda in Egitto, spiega il delegato Giancarlo Cifarelli: la primavera araba ha infatti rallentato gli investimenti italiani in gran parte della zona mediorientale e si lavora per farli decollare di nuovo entro il prossimo anno. Infine la Cina, croce e delizia dei mercati internazionali. Competitor spietato, ma soprattutto orizzonte nuovo per gli investimenti italiani, spiega il delegato Franco Cutrupia. L’attuale volume di esportazione è di 8 miliardi, il 50% nel settore meccanico, con produttori italiani che concentrano il 70-75% del loro mercato solo in Cina. Domani la convention si sposta al teatro San Carlo per una sessione dedicata al turismo. Martedì appuntamento alla Mostra d’Oltremare per un workshop tra oltre 160 imprese locali e i delegati delle camere di commercio estere.

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