di Nicola del Piano
Una bugia diventa un po’ vera ogni volta che tutti coloro che l’ascoltano lasciano che il dubbio si adagi nel loro animo. E’ stato detto pochi giorni orsono che “Mussolini fece anche cose giuste e le leggi razziali furono la sua colpa peggiore”. Pur nella consapevolezza dell’inutilità nel tentare di comprendere i ciuchi, appare opportuno chiedersi se una tale frase sia di giustificazione a tutti quegli altri atti giuridici del periodo mussoliniano e che nulla hanno a che vedere con il razzismo.
Il 18 settembre del 1938, a Trieste, Benito Mussolini lesse per la prima volta quelle che poi furono definite le “leggi razziali fasciste”. Esse rappresentano vari provvedimenti, sia legislativi sia amministrativi, discriminatori contro, in particolare, le persone di religione ebraica. Ma questa fu solo la fine.
Appartiene, infatti, al decennio precedente, ed esattamente all’anno 1925, l’inizio di quelle che saranno definite le “leggi fascistissime”, le quali portarono ad una vera e propria trasformazione del Regno d’Italia in ordinamento a regime fascista. La prima di queste leggi fu quella che il proprietario della frase di cui sopra auspica da tempo e della cui mancanza va lamentandosi in ogni dove. Si tratta della legge n. 2263 del 1925 che ridefiniva le attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri, la cui posizione gerarchica diveniva formalmente e sostanzialmente sovraordinata rispetto a quella degli altri ministri, stabilendo che la responsabilità del Capo fosse esclusa, in particolar modo, nei confronti delle assemblee parlamentari. Il passo successivo fu la legge n. 100 dei primi giorni del 1926, la quale dette facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, senza possibili e reali facoltà di intervento da parte delle assemblee legislative.
Poco prima di quest’ultima, vi fu la legge che rendeva illegali tutti quei giornali, il cui responsabile non fosse “riconosciuto” dal governo (legge 2307/25). Seguì, poi, la Legge n. 563/26 che proibì lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti” (quelli fascisti), potevano stipulare contratti collettivi.
Questo quadro di “cose giuste” fu completato nel 1928 con il colpo definitivo a quel che restava della rappresentanza parlamentare. Venne, infatti, modificata la legge elettorale per la Camera dei deputati che prevedeva una lista unica nazionale di 409 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo. Era su questa che gli elettori, da allora e per ben un decennio, sarebbero stati chiamati a “scegliere” per l’approvazione in blocco. Fino al ‘39, solo un anno dopo le leggi razziali quindi, con l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, anche questo residuo di partecipazione democratica svanì definitivamente.
Possono, dunque, anche tali atti giuridici essere annoverati tra le “cose giuste” fatte da Benito Mussolini?
Piuttosto, il fatto che le leggi razziali furono promulgate più di dieci anni dopo l’inizio dell’opera fascista, dopo altrettante nefandezze di tal fatta, non dovrebbe far riflettere quanti ancora si ostinano a porre la loro fiducia in uomini che con la menzogna e con la violenza preparano il loro pane quotidiano che qualcuno, credendo di saziarsi, continuerà a mangiare?
La stessa menzogna, del resto, che scorrazza serena per le vie di un paese facendosi beffa dei più, potrà mai porsi a base di un sistema democratico tout court?